Alcune riflessioni su quale sia l’impatto economico e finanziario dell’audio italiano lossless sulle edizioni Blu-ray e Blu-ray Ultra HD distribuite dalle major internazionali. Un modello che si adatta bene ai dati reali, lasciando però scoperto qualche dettaglio minore.
Torniamo ad occuparci della questione audio italiano di qualità, nonchè della sua inclusione nelle edizioni Blu-ray e Blu-ray Ultra HD ove curate da distribuzioni internazionali. Già sappiamo come, nonostante alcuni significativi miglioramenti apportati negli ultimi anni (specialmente da parte di Warner ed Universal, con in più un contributo della Disney), permanga ancora un “fastidioso scalino” che ci posiziona sotto mercati privilegiati quali quello tedesco e francese.
Parliamo delle codifiche object based quali Dolby Atmos e DTS:X, che caratterizzano le edizioni Warner per i sopracitati paesi (laddove noi siamo presenti in DTS-HD Master Audio 5.1) e la sola Germania per quelle Universal (laddove a noi spetta il 7.1 di ordinanza, su base Dolby Digital Plus o DTS-HR se proprio va di lusso). E’ pur vero che lo “step” non sia così marcato, tuttavia se si vuole sostenere la diffusione dell’hardware Atmos a livello domestico o comunque consumer (decoder, sintoampli, soundbar ecc), almeno quattro/cinque titoli ogni anno dovrebbero essere editati, pena l’irrimediabile stagnazione (e decadenza) del mercato.
Nei passati mesi abbiamo mantenuto saldi contatti con le filiali italiane delle varie major, con incontri e discussioni volti a superare questo “fastidioso” e persistente gap, a completo favore dello sviluppo tecnico (anche) del mercato italiano. Non sappiamo come si configureranno le cose durante il 2019, pur tuttavia rimanendo cautamente ottimisti possiamo illustrare con buona approssimazione, onde fornire un quadro completo sulle reali difficoltà di gestione, quello che riteniamo sia il “collo di bottiglia” nell’annoso problema delle codifiche audio. Busillis su cui, fino ad ora, si sono costruite, dibattute e consumate le teorie più disparate.
Si tratta, ovviamente, di nostre riflessioni dedotte “unendo i puntini”. Vale a dire estrapolando tutta una serie di dati tecnici, informazioni e collegamenti sparsi; applicando alla fine il “modello” costruito alla realtà dei fatti, trovandovi in effetti dei riscontri. Nonostante questo, alcuni dettagli minori rimangono ancora non del tutto spiegati, il che presuppone un sistema più articolato e/o la presenza di leve (soprattutto commerciali) che noi ignoriamo. La realtà della catena produttiva, del resto, è un’informazione sensibile propria di ogni azienda e per tale, ovviamente, assolutamente riservata.
La prima cosa da dire è che non esiste legame di sorta tra il tipo di codifica audio utilizzata (DTS o DTS-HD Master Audio, piuttosto che Dolby Digital, Dolby Digital Plus o addirittura Dolby Atmos) ed il costo di realizzazione del supporto Blu-ray. A stretto livello di codifica audio non ci sono formati più o meno costosi: un Dolby Digital a 448 kbps vale quanto un DTS-HD Master Audio da 2300 kbps, per quanto riguarda la mera tipologia di codifica. Questo è abbastanza ben confermato da quanto abbiamo avuto modo di osservare, motivo per cui già qui si può sfatare uno dei “miti” più gettonati per giustificare l’audio lossy riservato alle localizzazioni europee.
Quindi, se la tipologia di codifica non comporta aggravi di costo, dove sta il vero problema? Il problema principale è insito nello spazio fisico occupato dalla traccia in questione. Nelle edizioni gestite a livello internazionale, come (quasi) tutte quelle di Universal, Paramount, Warner, Fox e Disney del resto, l’ufficio preposto alla pianificazione ed alla creazione dei dischi “costifica” l’investimento in funzione dello spazio (in gigabytes) totale richiesto. Ove per spazio totale si vuole intendere la somma dei singoli spazi costituiti da: la traccia video, la traccia audio originale, tutte le tracce audio localizzate, i contenuti extra e i flussi dei sottotitoli.
Indipendentemente dal numero di edizioni stampate (e quindi da quanti diversi dischi si realizzano per coprire il mercato), è lo spazio totale occupato dal materiale di partenza che individua la voce di costo più gravosa (altresì identificabile come “valore dell’investimento”).
Va da se che, essendo alcune componenti di questo spazio le stesse per ogni mercato (il video, gli extra e l’audio originale inglese tipicamente), il loro costo si può spalmare agevolmente su tutto il mercato mondiale. Viceversa l’audio doppiato è legato ad ogni singolo mercato: se si vuole attuare quindi un contenimento di costi, si può agire comprimendo “poderosamente” la traccia localizzata onde decrescerne lo spazio occupato il più possibile. Ed è proprio qui che salta fuori l’audio lossy “da dvd”.
Dopo aver consultato un nostro collega ferrato in disciplina economica e finanziaria, possiamo ipotizzare come ogni filiale nazionale deduca un particolare indice, simile a quello che tecnicamente viene definito ROI (Return On Investement). Si tratta in pratica del rapporto tra il ricavo atteso dal disco sul mercato interessato (in pratica le vendite stimate) e il costo sostenuto nel produrlo (ove entrano tutti, e non solo, i parametri di cui sopra: spazio del video, degli extra, dei sottotitoli e, ovviamente dell’audio).
Come tutte le aziende che operano a livello multinazionale, anche le major producono annualmente budget e stime di vendita per i loro prodotti, basando le proprie strategie in modo da massimizzare (ovviamente) gli introiti. Se ne potrebbe concludere che questi indici ROI siano definiti in sede di budget e non siano uguali per ogni disco. Un titolo “forte“, come potrebbe essere ad esempio Avengers Infinity War, venderà sicuramente di più di un film minore quale Il vegetale, portando inevitabilmente con se un ROI maggiore.
Già questo giustificherebbe, ad esempio, la scelta di promuovere l’italiano in codifica lossless solo per certi titoli, vale a dire quelli per cui il ROI è sufficientemente elevato da “assorbire” un aumento nello spazio (e quindi nel costo) dell’audio italiano. Applicando lo stesso principio al Dolby Digital, questa modalità spiega anche come mai per alcuni distributori, da un certo punto in poi, i bitrate siano stati diminuiti da 640 a 448 kbps: si tratta di una mossa volta a diminuire lo spazio occupato dalla traccia italiana e riportare quindi il ROI ai livelli attesi.
Analogamente si capisce come mai in alcune edizioni Blu-ray 3D l’audio venga “degradato” anche nella sua componente inglese, nonostante lo spazio totale del disco permetta una comoda codifica lossless: le vendite attese sono inferiori alla controparte 2D. Lo stesso discorso spiega come mai spesso ci si ritrovi con dischi mezzi vuoti e un audio compresso all’inverosimile.
Se si è fatta attenzione, inoltre, alcune major hanno iniziato a localizzare l’audio italiano lossless sempre più spesso sui dischi USA (vedasi Tomb Raider) ed australiani (come Ready Player One). Si tratta con ogni probabilità di una “leva” volta a spalmare il più possibile il costo dello spazio aggiuntivo sul maggior numero di mercati possibile.
Un discorso analogo è applicabile ad Universal, la quale ha “promosso” l’audio italiano a Dolby Digital Plus 7.1, mantenendo però il bitrate di 768 kbps, tipico del vecchio DTS half rate. In pratica, ha mantenuto lo spazio totale occupato upgradando ai 7.1 canali mediante la codifica mediana della Dolby. Parimenti, per i titoli più “commerciali” (50 sfumature di rosso e Jurassic World), la stessa ha aumentato lo spazio dell’audio con l’uso del DTS-HR 7.1 a 2000 kbps, forte del fatto che le vendite attese sono maggiori.
Anche il caso Disney trova una sua ragion d’essere all’interno di questa filosofia. Il DTS full rate da 1500 kbps è stato sostituito prima da un Dolby Digital Plus 7.1 a 896 kbps e, di recente solo sui Blu-ray Ultra HD, dalla stessa codifica a 1024kbps. In entrambi i casi lo spazio totale occupato è addirittura minore del precedente. Da quanto sembra, la mossa della Disney da un lato è venuta incontro alle proteste degli utenti e dall’altra ha eseguito una riduzione costi.
La domanda che sorge spontanea a questo punto è: esisterebbe ancora margine per l’upgrade della traccia italiana a Dolby Atmos? Difficile dare una risposta, specialmente in quanto non sappiamo quanto questi indici valgano e quanto soprattutto sia possibile manipolarli, utilizzando leve commerciali quali ad esempio la multiregionalità.
Quello che è possibile fare, a mero esercizio didattico, è un’analisi delle edizioni già pubblicate per farsi un’idea comparativa dello spazio riservato all’audio italiano e cercare, tramite codifiche e bitrate “ad hoc”, di eguagliare un’eventuale traccia Atmos italiana allo spazio occupato mediamente dall’audio usuale.
A tale scopo viene in aiuto la line up dei titoli “top” che Warner ha pubblicato a partire dal 2016, in quanto trattasi delle edizioni tecnicamente più avanzate realizzate da una major ad oggi disponibili sul mercato italiano (insieme a diversi titoli Sony Pictures Blu-ray e UHD – Blade Runner 2049 ad esempio- che includono audio italiano lossless).
Da queste, infatti, possiamo agevolmente calcolare quanto effettivamente sia lo spazio riservato al DTS-HD italiano, spazio che dovrebbe rispettare i vincoli di ROI definito per le singole edizioni. E’ inoltre possibile confrontare la dimensione delle tracce italiane con quelle estere e con l’originale, cosa che consente alcune riflessioni (più o meno ovvie).
Nella figura sotto riportata è stato tabellato, in un diagramma a barre, lo spazio occupato dalle varie tracce audio presenti nelle edizioni Blu-ray Ultra HD Warner italiane interessate, che ricordiamo essere : Animali fantastici e dove trovarli, Kong Skull Island, King Arthur, Wonder Woman, Dunkirk, IT, Justice League, Tomb Raider e Ready Player One.
Da una prima analisi si può dedurre che:
- L’ audio tedesco e francese, in termini di spazio, è allineato a quello inglese. Questo perchè introdotto come un Dolby Atmos di pari bitrate medio, quasi sicuramente potendo contare su vendite maggiori (anche se non sappiamo per certo di quanto e conteggiate in che modo).
- L’ audio italiano si attesta su una media di spazio occupato pari a 1.69 Gb, contro i 2.96 dell’inglese e i 3.53 e 3.13 rispettivamente di tedesco e francese. In pratica il nostro “spazio vitale” massimo è circa la metà della lingua originale. Questa è comunque una valutazione per difetto in quanto, nel caso di IT, la riduzione a DTS full rate operata dall’errore di authoring ha abbassato il riempimento inizialmente previsto.
- Sebbene nelle prime edizioni il bitrate dell’inglese si mantenga elevato, c’è un certo trend “calante” nello stesso a partire da IT e andando fino a Ready Player One, ove scende da 3.4 Gb a 2.7 Gb scarsi. Considerato quanto detto poco sopra, potrebbe trattarsi di una mossa per abbassare il costo dell’edizione, forse in risposta alle difficoltà del mercato fisico.
- Non abbiamo dati relativi ai Dolby Atmos francese e tedesco da Justice League in poi, in quanto Warner ha localizzato le edizioni in modo più capillare. Supponiamo siano entrambi allo stesso livello dell’inglese comunque, come nel caso delle pregresse edizioni multiregion.
- L’ audio italiano, nonostante il trend a decrescere dell’inglese, si mantiene sul valore medio in modo abbastanza costante. Su Ready Player One guadagna addirittura qualcosa. Ne deduciamo come la mossa di inserirci sui mercati di USA ed Australia possa aver generato un “surplus” di spazio utilizzabile.
Analizzati questi dati, torniamo alla domanda principale: esisterebbero i margini per un Dolby Atmos italiano? Ragionando per pura comparazione, preso atto che comunque produrre un Atmos italiano a bitrate “ridottissimo” per entrare nei 1.7 Gb di spazio medio sarebbe del tutto impraticabile, gli scenari possibili rimangono due:
- Introdurre un Dolby Atmos su base Dolby True HD 7.1, a 16 bit e bitrate adeguato di “almeno” 3300 kbps, incrementando lo spazio medio da 1.7 Gb a 2.49 Gb. La fattibilità dipende da quanto l’aumento di spazio richiesto sull’edizione sia assorbibile dalle vendite e dalla multiregionalità della stessa (oltre che dalla sua opportunità, non è sempre detto si possa inserire l’italiano nel mercato USA e/o australiano, le variabili in gioco sono molteplici)
- Introdurre un Dolby Atmos su base Dolby Digital Plus 7.1, con bitrate minimo di 1280 kbps. Tale bitrate sarebbe comunque ampiamente entro i limiti di spazio testè valutati, dacchè per saturare l’1.7 Gb ci si potrebbe “spingere” anche fino i 2230 kbps. Bitrate quest’ultimo che garantirebbe un risultato virtualmente indistinguibile dal Dolby True HD pieno.
Quanto appena ottenuto, va da se, può trovare applicazione per qualsiasi distributore, dacché si può ben supporre le regole commerciali siano quanto meno molto simili. Certo, il calcolo qui esposto non spiega proprio tutte le evenienze, una su tutte le tracce ridondati che appaiono nei dischi di Warner e Disney. Se è pur vero che tedeschi e francesi possono assorbire più spazio per il loro audio in ragione di maggiori vendite, è molto improbabile tali vendite siano sufficienti a coprire addirittura due tracce lossless (usualmente il Dolby Atmos e il DTS-HD Master Audio 5.1).
Deve quindi esistere una sorta di addendum, probabilmente in termini di accordo commerciale, per il quale la doppia traccia lossless viene aggiunta a condizioni “di favore”, accordo che quindi svincola il discorso dal mero computo spaziale. Tenuto conto di quanto esposto in queste deduzioni, quindi, qualche possibilità per l’audio italiano Atmos o DTS:X potrebbe anche esistere. Che essa si concretizzi, tuttavia, solo il tempo potrà dirlo per certo.
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