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Streaming Vs Fisico: The Big Match

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Abbiamo confrontato la resa qualitativa di due film recenti, testati in streaming e su supporto fisico Blu-ray Ultra HD. Concludendo con un test “speciale”

E’ ben noto oramai a tutti come la situazione attuale veda lo streaming in crescita verticale mentre il supporto fisico, viceversa, sia in caduta libera. Molti decantano lodi per l’uno o per l’altro: convenienza, costi, comodità, accessibilità ed affidabilità sono tra i parametri usualmente citati al riguardo. Pochi però parlano, almeno in modo approfondito, dell’aspetto qualitativo delle due soluzioni, magari arrivando a proporre un confronto diretto. Con questo speciale vogliamo colmare finalmente questa lacuna, procedendo a comparare la resa qualitativa tra il supporto fisico (Blu-ray Ultra HD) e l’omologo streaming (iTunes) di due recenti film di grande successo: Animali fantastici I crimini di Grindelwald ed Aquaman.

Str vs Fis

La scelta dei due film non è ovviamente casuale, trattandosi, ad oggi, dei due Blu-ray Ultra HD meglio riusciti presenti sul mercato. Come non è casuale nemmeno la scelta di utilizzare iTunes (attraverso una Apple TV 4K) nella comparazione. Oltre ad essere mediamente il servizio con qualità più elevata fra i vari provider presenti, è l’unico ad offrire la traccia Dolby Atmos anche per l’italiano, rendendo così più equilibrato il processo di paragone. Abbiamo infatti confrontato parimenti le rese video ed audio dei suddetti film, concludendo con un interessante test di ascolto “al buio”, onde indagare più a fondo se e come il pubblico generalista percepisca eventuali differenze di qualità per la parte sonora.

Comparazione Video

Nel caso di I crimini di Grindelwald l’impatto visivo denota subito una differenza piuttosto marcata fra le due sorgenti. I parametri critici che emergono durante il raffronto riguardano principalmente la compressione (fatto atteso, considerato il rapporto di riduzione di sei ad uno in favore del fisico), il dettaglio sugli sfondi ed una certa presenza di banding che affliggono la visione su iTunes. Il film, tra l’altro, abbonda di scene scure o comunque in penombra, cosa che rende il compito dello streaming ancora più ostico.


Str vs Fis

Sin dai titoli di testa si nota chiaramente la maggior compressione e la resa intaccata di iTunes, con diverse incertezze sui fondali (banding sullo sfondo del logo Warner, presente anche nel Blu-ray Ultra HD ma in modo decisamente più limitato) ed un dettaglio di secondo piano meno “spigolato”. Il tutto si vede molto bene raffrontando la panoramica di New York in notturna, con la nebbia che tende a “dissolvere” la risoluzione (più solida e rifinita, invece, nel caso del fisico). Nelle medesime scene, la sequenza che vede Grindelwald prigioniero sulla sedia denota uno sfondo più rifinito e “pulito”, ottimamente contrastato dall’HDR sulle basse luci nel Blu-ray contro un fondale che va in crash, piallando i dettagli in modo più confuso all’interno dell’oscurità, nello streaming.

Passando alle scene più luminose il gap diminuisce, ma comunque non si azzera. Fondali e dettaglio di contorno in genere continuano a mostrare diversi punti deboli, si osservi ad esempio la panoramica sulle scogliere inglesi: perfettamente rifinita sia nel primo piano che nello sfondo sul cielo per il Blu-ray Ultra HD, più impastata e con le nuvole “affette” da banding con qualche artefatto per lo streaming. La situazione si mantiene parimenti differenziata lungo tutta la visione: nonostante una resa “godibile” lo stream di iTunes si posiziona su rese nettamente inferiori rispetto il supporto fisico.

I crimini di Grindelwald

Venendo alla visione di Aquaman il discorso non cambia se non con un divario ancora più marcato. Nel caso del film con Jason Momoa, complice il massiccio utilizzo di CGI per le sequenze sottomarine in ambiente spesso scarsamente illuminato, è ricorrente ed abbastanza invasivo l’immancabile banding, il quale toglie alla naturale transizione delle sfumature subacquee una buona dose di verosimiglianza. I frangenti peggiori si raggiungono durante la prima visita di Arthur e Mera, culminando nelle panoramiche del ponte sommerso e dei cannoni da difesa.

Già avevamo notato, in sede di recensione, una sorta di “sfocatura” presente nelle ambientazioni sottomarine (risultato di qualche scelta artistica, con ogni probabilità). Tale caratteristica è parimenti presente nella versione streaming, con effetti tuttavia ancora più accentuati: spesso e volentieri il dettaglio di contorno è meno rifinito rispetto la versione Blu-ray Ultra HD, con ripercussioni sulla compattezza del quadro e, a volte, pure sulla tenuta cromatica (in diversi momenti la carica cromatica appare di intensità inferiore rispetto la controparte fisica). Anche qui una visione “godibile”, tuttavia ben lungi dall’essere un riferimento.

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Localizzazione del banding sullo streaming iTunes di Aquaman

Comparazione Audio

Come già fatto per la parte video, abbiamo provveduto a comparare la resa audio delle colonne sonore italiane sia di Grindelwald che di Aquaman, disponibili anche su iTunes in Dolby Atmos (con flusso di base “lossy”, Dolby Digital Plus), oltre che sui relativi Blu-ray Ultra HD (con base “lossless”, Dolby True HD). Premettiamo che non siamo a conoscenza dell’esatto bitrate delle tracce iTunes in quanto la Apple TV non permette di accedere a tale informazione, se non con una particolare procedura da eseguirsi tramite Mac (disgraziatamente non a nostra disposizione). Da quanto lecito supporre il bitrate si dovrebbe posizionare in un valore compreso tra i 384 ed i 768 kbps.

La comparazione di Grindelwald mette in luce da subito un rilevante gap: sin dalla sequenza di apertura la gamma dinamica della traccia in streaming risulta chiaramente “soffocata”, quasi ci fosse un lenzuolo posizionato sopra i diffusori. La cosa si nota molto bene sia nelle musiche che nel temporale in background, ove i tuoni risultano abbozzati e meno profondi (un canale LFE più leggero) rispetto la controparte fisica. Tale caratteristica si mantiene presente in ogni momento della visione, con flessioni più o meno marcate, ma sempre tali da far risaltare una netta differenziazione.

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La dinamica ristretta mostra degli effetti interessanti anche nella percezione della spazialità la quale, seppur fondamentalmente uguale (il mix deriva pur sempre dallo stesso master di partenza) tra le due sorgenti, con un’apprezzabile riduzione di dinamica fa apparire i contributi direzionali meno “spigolati”, quindi meno precisi con conseguente perdita di localizzazione. Questo si sente molto bene durante i virtuosismi della carrozza sui canali top, ma ancora di più durante l’esplosione nell’edificio (a 0h 54m30s) e l’incendio del finale (a 1h57m00s): ivi il suono è nettamente più calmierato, con meno particolari che riescono ad emergere dai singoli diffusori.

Forse meno rilevante il gap sulla resa dei dialoghi, seppur l’orecchio allenato noterà un certo deficit di frequenze per la versione lossy; non grandi cose ma sufficienti a mettere il parlato maggiormente in secondo piano. Il fatto si apprezza specialmente durante il colloquio iniziale all’interno del MACUSA, complice il silenzio generale in cui esso è condotto. Globalmente, come facilmente intuibile, la versione lossless domina per resa qualitativa, pur rimanendo quella lossy nel campo di una decorosa sufficienza.

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Molto più sorprendente l’esito della comparazione per quanto riguarda Aquaman. Nel caso del film con Jason Momoa il gap che intercorre tra la traccia lossless e quella streaming è talmente elevato da risultare quasi imbarazzante: sin dai titoli di testa la gamma dinamica della prima è almeno due ordini di grandezza sopra la seconda. Da ascoltare i “colpi” del canale LFE durante il logo DC Comics, nella traccia lossy appare un soffocato tuono in lontananza, nella lossless quasi un martello pneumatico piazzato davanti lo schermo. Le differenze non si fermano qui, la spazialità per esempio è talmente esaltata, complice l’elevatissima dinamica, che l’intervento di interi diffusori va a sparire nella versione iTunes.

Si ascolti la movimentata scena di inseguimento in Sicilia, una delle migliori sequenze ove il mix Dolby Atmos dimostra tutta la sua ragion di esistere. Le “laserate” di Black Manta nell’audio lossless sono affilate, precise e piazzate costantemente sui surround e sul top, sia front che rear. Nel momento in cui si fa lo switch a quello lossy, i canali top rear e surround calano bruscamente di efficacia, complice la compressione “distruttiva”, risultando in un posizionamento impreciso, fracassone e molto meno coinvolgente. Senza esagerare, sembra vengano messi degli scatoloni a coprire i singoli diffusori.

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Stessa situazione se si comparano i dialoghi: ampia escursione in frequenza (specialmente bassa sulla voce italiana di Momoa) ed ottimo piazzamento in primo piano per il True HD, molto più secchi ed arretrati nel caso del Dolby Digital Plus di iTunes. Situazione che permane immutata durante tutta la visione, nella fattispecie una differenza qualitativa notevolissima. Molto difficile non riesca a percepirla un qualsiasi utente occasionale.

Test audio al buio in cieco semplice

Riguardo la comparazione sonora va da se come questa rappresenti il nostro parere personale, basato su un ascolto consapevole e sull’esperienza dell’appassionato. Ci siamo però voluti levare la curiosità di conoscere l’esito di un confronto simile, condotto da utenti occasionali ovvero “scevri” dall’esperienza tipica: i classici avventori comuni. A tal scopo abbiamo riunito sedici (16) persone, quattro (4) per ogni fascia d’età rappresentata, vale a dire: dai 20 ai 30 anni, dai 31 ai 40, dai 41 ai 50 e dai 51 ai 60. Ognuno di questi gruppi di quattro era composto di due uomini e due donne.

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Ai soggetti sono state fatte ascoltare due clip di particolare riferimento: la scena iniziale di Grindelwald (da 0h00m00s a 0h07m40s) e l’inseguimento ambientato in Sicilia di Aquaman (da 1h26m55s a 1h34m15s). Le due clip sono state scelte in quanto contengono, contemporaneamente, un’eccellente mix delle tre caratteristiche di cui valutiamo sempre la resa: dinamica, spazialità e dialoghi. Ai soggetti del test sono state mostrate le clip in successione: prima dal Blu-ray Ultra HD e subito dopo dalla versione iTunes. E viceversa. Ovviamente senza rivelare quale fosse la sorgente reale, per evitare qualsivoglia tipo di influenza e/o preconcetto dovesse presentarsi.

E’ stato quindi richiesto loro di indicare, tramite voto su un foglietto, quale delle due clip avesse l’audio migliore secondo i tre parametri prima presentati. Trattandosi ovviamente di soggetti non “del mestiere”, abbiamo provveduto ad illustrare loro cosa valutare per ognuna delle tre voci:

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  • Dinamica: è stato detto di prestare attenzione all’escursione dei livelli sonori, ovvero di valutare, secondo loro, quale clip mostrasse il sonoro più ricco di particolari e dal ventaglio di sfumature più ampio. Come esempio è stato fatto ascoltare l’inizio de Il primo uomo, nella versione italiana (Dolby Digital Plus 7.1) e inglese (Dolby Atmos), avendo poi facilmente riscontro dai soggetti come il primo fosse nettamente meno variegato e più “piatto”.
  • Spazialità: è stato detto di prestare attenzione a come il sonoro è localizzato, in pratica quale delle due clip mostrasse più direzionalità e facesse sembrare l’ascolto più immersivo. Come esempio è stata fatta ascoltare la scena di Jupiter Ascending con lo scontro aereo tra i grattacieli: in italiano (Dolby Digital 5.1) ed inglese (Dolby Atmos). Nuovamente, è stato riscontrato un totale accordo sul fatto che il secondo fosse molto più “direzionale” del primo.
  • Dialoghi: si è chiesto di indicare quali dialoghi apparissero più naturali, corposi e bilanciati all’interno dell’economia del sonoro. Come esempio abbiamo fatto una carrellata delle migliori “nefandezze” perpetrate dai mixatori Marvel (almeno una è sempre presente in ogni film, dal primo Avengers in poi), raffrontandole  poi al medesimo personaggio quando la resa si fosse stabilizzata. Dopo qualche incomprensione iniziale (non era ben compreso da certi componenti il gruppo di ascolto cosa si intendesse per dialoghi estesi in frequenza), la situazione si è normalizzata ed il gruppo giudicato adeguato all’esecuzione del test.

Il test è stato eseguito mandando le clip, in ordine casuale (prima iTunes oppure Blu-ray Ultra HD), una volta per ogni parametro da analizzare. In tal modo gli ascoltatori hanno potuto concentrarsi solo sul parametro di interesse principale della valutazione. Solo nel caso dei dialoghi la visione è stata fatta due volte, viste le difficoltà iniziali riscontrate in sede di “training”. Gli interessanti risultati sono riassunti nei due grafici qui di seguito.

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I dati raccolti si prestano bene ad alcune considerazioni di massima, sempre nell’ottica che quanto stiamo discutendo rientra nella rilevazione di un campione statistico di sedici soggetti, sufficientemente rappresentativo dell’avventore tipicamente occasionale. In generale dal test è emerso che:

  • Esiste una percepibile differenziazione, all’ascolto, tra l’audio proposto in streaming (versione lossy) e quello su supporto fisico (versione lossless). Nel caso di Grindelwald tale differenza è apprezzabile, in quello di Aquaman molto marcata. Questo coincide con quanto da noi già rilevato in sede di recensione e comparazione.
  • Il parametro di gamma dinamica, per entrambi i casi, mostra un sensibile scostamento tra le due sorgenti, con la versione lossless inequivocabilmente superiore. Il dato era del resto atteso, dacchè una compressione “selvaggia” come quella attuata onde far rientrare il flusso audio nei limiti di banda imposti dalla rete crea inevitabilmente dei danni irreparabili alle sfumature sonore.
  • Il parametro di spazialità, nel caso di Grindelwald, non denota grosse differenze tra streaming e fisico, con la lieve preferenza accordata al lossless che non è comunque statisticamente significativa. Questo indica come il calo di gamma dinamica non abbia afflitto granchè la percezione di spazialità: non è escluso il mix sia stato corretto a monte per compensare l’effetto (cosa che non sapremo mai per certo). Situazione totalmente opposta per Aquaman, ove la spazialità vede un’impennata considerevole: nel caso in questione risulta come la versione lossless goda di un posizionamento notevolmente più preciso. Sarebbe stato interessante conoscere il bitrate reale della traccia lossy, dacchè perdite così significative in spazialità e dinamica fanno sospettare un valore davvero esiguo (forse addirittura sui 384 kbps, il che per un Dolby Atmos sarebbe quasi un crimine).
  • Contrariamente a quanto ci aspettavamo anche sulla componente dialoghi è stata percepita una differenziazione significativa, specialmente nel caso di Aquaman. Da un rapido giro di tavola con i partecipanti abbiamo appurato come la parlata “roca e calda” del Blu-ray Ultra HD sia apparsa più naturale ed appagante rispetto la controparte streaming. Un dato tanto interessante quanto inatteso, dacchè in genere la qualità del parlato non è propriamente “sentita” dall’avventore comune (almeno fino quando l’intellegibilità dei dialoghi non rimane compromessa).

Nonostante gli interessanti risultati, questo tipo di comparazione, svolta tramite un setup di diffusori Dolby Atmos 7.1.4, non rende totalmente conto della realtà delle installazioni domestiche. E’ indubbio infatti come una nutrita schiera di utenti utilizzi soluzioni soundbar per la riproduzione dell’audio (anche “ad oggetti”), per cui avrebbe maggiormente senso una comparazione fatta con un hardware di quel tipo. Abbiamo quindi ripetuto il test con la sequenza di Aquaman, utilizzando stavolta una soundbar Sony HTXF9000, la quale  rappresenta un buon riferimento per un apparecchio di livello medio. Di seguito quanto rilevato dalla prova.

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Ancora una volta si apprezza una decisa differenziazione tra le due sorgenti, seppur limitatamente alla dinamica ed alla spazialità (la parte dialogo non da uno scostamento apprezzabile invece). Interessante però notare come, mentre nel caso della dinamica il gap si assottiglia a causa dei limiti intrinseci l’hardware, la spazialità mantenga invece invariato il suo distacco. Considerato come questa particolare soundbar esegua delle manipolazioni sul sonoro onde ricostruire un suono “spazialmente” credibile (potendo contare su di un ridotto numero di diffusori), ne concludiamo che la netta predominanza dinamica del supporto fisico porti ad una “ricostruzione” decisamente più robusta. Figuriamoci poi con delle soundbar ancora più evolute.

Conclusioni

I risultati della comparazione, sia video che audio, denotano un’inequivocabile superiorità qualitativa del supporto fisico, quando lo stesso sia, ovviamente, prodotto allo stato dell’arte. Anche se il gap riscontrato è tale da garantire comunque ampi margini di realizzazione per lo stesso. Nuovamente un risultato atteso, daltronde si parla della differenza tra un file di 10 Gb (se va bene) ed uno di quasi 60 (spesso anche più): per quanto la compressione sia efficiente, un rapporto di uno a sei è troppo elevato per permettere di preservare intatta la qualità originale del prodotto.

Una milestone non indifferente è anche il risultato del test “cieco” eseguito, il quale consegna definitivamente al regno delle leggende metropolitane il fatto (spesso assunto come giustificazione dai supporter dello streaming) che il pubblico generalista non riesca ad apprezzare le differenze tra i due. Da commenti e dati raccolti, invece, sembra proprio accada l’opposto. In definitiva lo streaming risulta essere un mero compromesso tra qualità (che risulta si godibile, ma ben lungi dall’essere di riferimento) e comodità di utilizzo (leggasi “abbattimento costi”).

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Non è infatti un mistero che, rispetto al supporto fisico, lo streaming permetta un drastico taglio di costi (a scapito della qualità) oltre che trasformare in realtà i sogni proibiti dei distributori (a scapito, stavolta, dell’utilizzatore finale ). In particolare:

  • Si annullano tutti i costi fisici (replicazione, supporto, distribuzione, magazzino, negozio ecc).
  • Si contengono i costi di storage. Con massimo 10 Gb per un film in 4K, dovuti alle limitazioni di banda trasmissibile, il costo di “ospitamento” in un datacenter è basso.
  • Si annulla di fatto il possesso. Il contenuto non è più nelle mani dell’utente, ma solo on-line. Con tutti i problemi (molti dei quali già sperimentati nella realtà) e le limitazioni del caso, tra cui: non rivendibilità e/o cedibilità, rischio di veder sparire il contenuto a scandenza dei diritti di distribuzione, rischio di dover acquistare più volte il contenuto ecc.
  • Si incrementa in modo esponenziale il profitto: venuti meno costi fisici e di logistica, vendendo un titolo a 15 euro (quando a 20€ lo si portava a casa in Blu-ray) il margine di guadagno è oltremodo generoso.

La nostra critica, si badi bene, non è diretta alla difesa ad oltranza del supporto fisico. Parliamo pur sempre di una tecnologia che oramai ha più di 30 anni sul groppone ed ha fatto bene o male il suo tempo. Senza contare l’impatto ambientale che essa impone: una soluzione “liquida” sarebbe una svolta in tal senso. Tuttavia è inaccettabile che questa venga individuata nei presenti servizi di streaming, i quali soffrono limitazioni qualitative e di utilizzo troppo evidenti.

Dare la possibilità di scaricare in locale il prodotto, proteggendolo magari con sistemi a licenza temporale (vedi il caso D-Cinema), portando i file a dimensioni più consone e con gli audio più avanzati. Questo potrebbe essere un compromesso accettabile per la dismissione del fisico, ma è assolutamente improponibile far passare la presente situazione come non plus ultra: tolta la qualità ai prodotti, viene meno lo stesso senso di esistenza dell’hardware e dell’innovazione, portando il mercato al declino. Come per certi versi sta succedendo al comparto musicale.

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Per questo motivo preferiamo dare conto delle reali differenze esistenti tra fisico e liquido. Troppe volte vediamo colleghi o presunti addetti ai lavori tessere le lodi dell’attuale streaming, prescindendo (per leggerezza, ma spesso per scarso senso etico quando non addirittura malafede) completamente dall’involuzione qualitativa che esso comporta. Il pubblico va educato, istruito, sensibilizzato alla qualità in modo che giustamente la pretenda: ogni qual volta ciò viene fatto ne consegue un suo interessamento e, di conseguenza, un miglioramento tecnologico e del mercato.

Chi trascura questo processo, chi promuove soluzioni palesemente regressive, senza nemmeno darsi il disturbo di mostrarne luci e ombre, riteniamo non agisca nell’interesse degli utenti e neppure del mercato. Agisce sicuramente nell’interesse di qualcuno: di chi vuole massimizzare il profitto a scapito del prodotto. Nella speranza che questi risultati possano sensibilizzare maggiormente sia il pubblico che gli addetti ai lavori ad una maggior consapevolezza delle proprie, sacrosante, rivendicazioni.

 

Comparazioni eseguite con: Videoproiettore JVC Rs400, UHD player Oppo UDP-203 , Apple TV 4K, Sinto-Amplificatore Denon X7200WA, setup Dolby Atmos 7.1.4, diffusori Wharfedale & Energy Take, Soundbar Sony HTXF9000

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