Andrej Tarkovskij è considerato il massimo esponente del cinema russo moderno. Spesso superficialmente associata a Kubrick, la sua opera merita di essere riscoperta in tutta la sua profondità. Oltre al celebre Solaris, in questo speciale analizziamo altri 3 capolavori del regista, recentemente pubblicati in Blu-ray da General Video/CG Entertainment.
Di Andrej Tarkovskij è forte l’impronta lasciata sui destini del Cinema – e gli appassionati tout-court della Settima Arte ne sanno qualcosa – ma la sua figura rimane avvolta in un indefinito limbo, nonostante sia stato indicato come l’ultimo grande regista della tradizione russa.
Vuoi per la ‘distanza’ che il cinema russo può aver avuto negli ultimi cinque decenni dalle altre cinematografie più ‘visibili’, vuoi per la difficoltà di molti di ‘leggere’ con strumenti adeguati la sua poetica e il suo modo di intendere il Cinema, ma anche per la difficoltà palese di eleggere senza se e senza ma, univocamente, quali siano i suoi capolavori.
Avendo ben chiare in mente queste premesse e consapevoli che è inevitabile qualche problema nel contestualizzare l’opera di Andrej Tarkovskij, la visione dei suoi film carichi di riferimenti autobiografici, alla storia e alla cultura del suo paese, sgombra da qualsiasi sovrastruttura, può rivelarsi oltremisura costruttiva.
Bisogna sempre tenere a mente che il Cinema, l’Arte più incisiva del XX° secolo, è anche quella più accessibile alle masse, fonte di piacere e godimento estetico, strumento di ricerca creativa, espressione financo delle idee più progressiste della propria epoca e coscienza della società da cui si diparte. Tant’è che comune denominatore del Cinema di Tarkovskij è la volontà del regista di parlare della gente russa in un particolare momento storico di transizione.
Gli aficionados del grande regista russo si dividono tra chi predilige Andrej Rublev (1966), e chi vede in Nostalghia (1983) il massimo risultato della sua arte; ma come si potrebbero mai ignorare Solaris (1972) e Stalker (1979), film di grande impatto che hanno permesso ad Andrej di farsi conoscere dal pubblico occidentale e si sono ritagliati di diritto un posto importante nel cuore di numerosi cinefili?
Andrej Arsenevic Tarkovskij fin dall’esordio si è fatto conoscere dal pubblico italiano (in primis) ed internazionale quando nel 1962, all’età di trent’anni, con L’infanzia di Ivan si aggiudicava il Leone d’Oro alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, ex-equo con Cronache Familiari di Valerio Zurlini.
Il film si impose all’attenzione generale perché espressione di un ‘nuovo corso’ della cinematografia sovietica detto ‘del disgelo’, più attento alle implicazioni individuali degli uomini e decisamente lontano dalla magniloquenza e dal trionfalismo degli anni che erano seguiti alla conclusione del secondo conflitto mondiale.
In realtà – e se vogliamo con qualche palese riferimento al Cinema neo-realista italiano – la guerra conclusasi viene vista come elemento negativo per le esistenze umane piegate dalla disperazione, scempio, rovina e sospensione della vita oltre che doloroso momento di negazione degli affetti privati.
Vi si narrano le sofferenze, le lacerazioni, le peripezie e l’odissea di un giovane rimasto orfano a causa della guerra e del suo sentimento di rivalsa sui nemici in un contesto plumbeo di tangibili barbarie, privo di eroismi, dedizione alla causa ed esaltazioni di sorta, sulle linee che delimitano il fronte russo dagli avamposti nazisti.
ANDREJ RUBLEV
Andrej Rublev è il film che ha consentito di fare la conoscenza del geniale monaco artista vissuto durante il cosiddetto Rinascimento russo, di cui poco era noto alle nostre latitudini fino ad allora, ed il film, attraverso un impianto di immagini fluenti e nello stile spoglio ed essenziale del Bianco & Nero, ne racconta la vita snocciolando uno dietro l’altro gli episodi principali.
Affronta i condizionamenti storici che gli impedirono di esprimere con pienezza la sua arte e il suo carattere, illustra la sua rinuncia a continuare a dipingere in un mondo dominato dalla violenza e gira quindi intorno alla difficoltà di essere artista e il concetto viene universalizzato a tutte quelle situazioni analoghe in cui entrano in gioco la responsabilità e il destino dell’artista.
Nato intorno al 1370 e morto nel 1430 circa Rublev, nell’ambito della tradizione bizantina, si impose con decisione ai suoi tempi – epoca di crudeltà, di fame e di pestilenza – tanto che il Concilio ecclesiastico dei Cento Capitoli nel 1551 lo santificò dopo averlo eletto ‘modello’ di pittura e d’armonia.
L’opera di Tarkovskij si nutre del respiro della grande tradizione del cinema russo – come non vedervi il richiamo a Sergej M. Ejzenstejn, a film come Aleksandr Nevskij, Ivan il terribile o La congiura dei Boiardi – e dei rimandi alla complessità della cultura del paese. Il tutto reso con immagini incisive, composizione perfetta delle inquadrature, spessore epico e drammaturgico dei personaggi.
Il film, per incomprensioni con il regime sovietico, subì alcuni tagli che ne rinviarono l’approdo nei festival in occidente dove arrivo solo nel 1968 in Francia e nel 1972 negli altri paesi europei, tra cui l’Italia dove, per il manifesto ostracismo nei suoi confronti da parte delle autorità russe, Andrej Tarkovskij trovò la sua seconda patria (e un rifugio da esule), dove avrebbe lavorato ad un documentario con Tonino Guerra (Tempo di viaggio per la RAI) e ambientato Nostalghia (del 1983) nella campagna senese.
Leggi qui la recensione tecnica del Blu-ray di Andreij Rubliov.
SOLARIS
Solaris è nella forma un film di fantascienza, perfino ossessivo nella sua lentezza, ma nella sostanza ha profondità che ne oltrepassa il contesto; insomma è ben lungi dall’essere un film di genere. Il lavoro, tratto dall’omonimo romanzo di Stanislaw Lem, “non parla solamente dello scontro con quello che ci è ignoto sul cammino della ragione umana – ha dichiarato il regista in un’intervista del 1970 –, ma pure dell’educazione morale dell’uomo in corrispondenza con nuove scoperte nel campo della conoscenza scientifica”.
Un film di fantascienza anomalo, distante dall’idea comune che si ha del genere, ma che – secondo le parole di Tarkovskij – ha avuto lo scopo “di aiutare gli uomini più diversi e più semplici a capire che la sostanza del problema è la presa di coscienza di loro stessi. Come quando uno si sveglia di notte, di soprassalto, e sa subito, nel dormiveglia, dove sono sua moglie, suo figlio, sua figlia. Ma solo dopo questa presa di coscienza si sveglia completamente. Lo stesso accade per i problemi morali, spirituali, della coscienza”.
“La maggior parte dei registi di film di fantascienza ritiene indispensabile agire sull’immaginazione degli spettatori per mezzo di particolari concreti, riguardanti la vita su altri mondi o per mezzo della descrizione delle attrezzature, dei congegni del veicolo spaziale. E spesso questi particolari, la loro presentazione, costituiscono l’idea, il tema del film. Mi sembra che questo sia il limite di 2001 Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick”.
Recensione tecnica del Blu-ray online nei prossimi giorni.
LO SPECCHIO
Lo Specchio (1974), basato sui ricordi personali dell’autore, viene spesso trascurato quando si vuole inquadrare in valori assoluti il cinema di Andrej Tarkovskij, eppure vi trovano posto molti dei temi poi sviluppati nel lavori successivi. È un film sull’infanzia e sulla figura importantissima della madre, elementi che hanno contraddistinto i primi anni di vita di ognuno di noi, che ci portiamo dentro come un marchio indelebile, a suscitare una sorta di indicibile nostalgia del passato ogni qualvolta i ricordi riaffiorano nella nostra mente.
La Madre in questo contesto diventa centrale, con le sue gioie, i suoi dolori e i sacrifici. Partendo dal riferimento della propria genitrice, il regista rende universale la sua figura, l’ammanta di immortalità. Ad una lettura del film, comunque non immediata, è almeno facile cogliervi come i quattro elementi della filosofia aristotelica (Terra, Acqua, Aria e Fuoco) costituiscano presenze significative nel fluire dei ricordi e dei sogni del protagonista.
La storia narrata assume contorni autobiografici – e senza smarrire il senso di realismo dei fatti – poiché prende inizio nel 1932, l’anno di nascita di Andrej, per spingersi fino agli anni di realizzazione della pellicola. Vi si alternano momenti dedicati ai ricordi della protagonista ad altri riferiti a fatti di cronaca realmente accaduti. Si racconta della donna che nella giovinezza lavorava in una tipografia, del suo trasferirsi prima della guerra in una fattoria con i due figli, dei duri sacrifici affrontati mentre l’uomo amato era lontano al servizio della patria, all’attesa del suo ritorno.
Andrej Tarkovskij, tra episodi reali e alcuni di fantasia, ha cercato di cristallizzare l’unicità e l’irripetibilità della esperienza intima e privata dei propri ricordi legati all’infanzia; un’emozione individuale e personale che il regista ha cercato di comunicare e condividere con gli spettatori in nome di un’entità più alta e morale che è l’Arte, quel qualcosa che scaturisce dalla vita. Qui la recensione tecnica del Blu-ray.
STALKER
Stalker, che sta per ‘esploratore‘, è l’altro film di fantascienza di Tarkovskij dopo Solaris; lungo quasi tre ore e di non immediata lettura, vi si racconta di un esploratore che lascia la famiglia per affiancare uno scienziato nelle ricerche nella cosiddetta ‘Zona’, luogo in cui, a seguito della caduta di un meteorite, avvengono fenomeni misteriosi e di una stanza nella quale è possibile veder esaudito qualsiasi desiderio…
Ovviamente è opera d’allegorie e metafore che rifugge da qualsiasi classificazione e si propone per essere l’ennesima riflessione sull’uomo, sui condizionamenti che si subiscono dall’ambiente circostante e sul ruolo della società che tiene sotto giogo gli individui. La ‘Stanza’ fondamentalmente rappresenta il senso della vita; vengono messi uno di fronte all’altro un uomo di scienza e un intellettuale, mentre lo stalker, per la sua condizione più umile, non può essere ammesso alla conoscenza e può fare affidamento solo sulla fede…
Ecco la recensione tecnica del Blu-ray di Stalker.
L’ultimo film di Andrej Tarkovskij è stato Sacrificio del 1985, girato in Svezia con l’interessamento di Ingmar Bergman. Il regista morì in una clinica di Parigi il 29 dicembre del 1986 per una malattia incurabile; aveva 54 anni.
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