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Vinile: è davvero così delicato?

Molti appassionati sono convinti che rispetto al CD il classico disco nero in vinile sia molto più fragile e propenso a graffiarsi durante l’uso, soprattutto se maneggiato da mani inesperte e poco attente.

Per questa ed altre ragioni – ma soprattutto per questa – non sono pochi coloro che preferiscono il CD o il digitale in generale al vinile, proprio a causa della mancanza di quel necessario contatto intimo tra fonorivelatore e disco.

In realtà non è che il CD sia in assoluto scevro da problematiche di lettura legate ad eventuali graffi superficiali, diciamo che differentemente dall’LP si comporta in modo alternativo, ovvero evitando i classici e saltuari tic e toc generati dall’incontro tra diamante e solco danneggiato.

In ogni caso la lettura subisce delle alterazioni – eminentemente brevi interruzioni o addirittura il blocco nei casi più gravi – che pur diverse sono comunque alquanto seccanti, probabilmente molto più fastidiose di qualche click prodotto dal disco in vinile, per certi versi ritenuto fisiologicamente parte di esso.


In generale quindi non esiste un supporto in assoluto sicuro dal punto di vista del danno superficiale, solo meno propenso ad evidenziarlo magari, ma pur sempre di danno e di conseguente alterazione della lettura si tratta.

La regola che sempre andrebbe applicata è quella di trattare con cura sia il vinile che il classico dischetto argenteo, pertanto, tornando al nero e sempre affascinante disco in vinile, la domanda è se questo sia effettivamente così delicato come si narra o se come al solito non si tratti della solita esagerazione.

Personalmente possiedo edizioni risalenti al 1960 assolutamente perfette, totalmente prive del minimo graffio e/o eccessiva rumorosità superficiale, dischi che tra l’altro sono stati riprodotti mediante diverse cinematiche avvicendatesi nel tempo – fonorivelatori inclusi ovviamente – eppure ne sono usciti indenni, anche considerando che non sempre i solchi sono stati percorsi da fonorivelatori di livello elevato.

In termini di resistenza ai danni – ovvero graffi più o meno profondi sulla superficie, sostanzialmente una forma di abrasione – qualsiasi elastomero, tra cui il vinile, vede accrescere la sua resistenza all’aumentare della rigidità.

Con riferimento ad un disco in vinile – almeno per logica – le occasioni di danneggiamento sono correlate alle modalità con le quali è maneggiato, vale a dire ogni qual volta è prelevato dalla copertina, successivamente estratto/reintrodotto nella busta protettiva, tenuto tra le mani per poi essere adagiato sul piatto del giradischi ed infine – momento oggettivamente molto delicato, non solo per il disco ma anche e soprattutto per il fonorivelatore ed in una certa misura anche per il braccio – nel momento in cui la puntina “atterra” sulla superficie del disco.

Circa questa serie di operazioni – apparentemente complesse ma non più di tanto, soprattutto agli occhi di un principiante – possiamo individuare almeno un paio di utilizzatori medi: l’appassionato attento e l’utilizzatore distratto.

Il primo è quello che segue una vera e propria (anche giusta se vogliamo) liturgia: estrae il disco evitando di toccare la superficie direttamente con i polpastrelli in modo da evitare di trasferire l’essudato delle impronte, lo adagia con cura sul piatto centrando perfettamente il perno ed infine – in dipendenza della tipologia di giradischi che possiede – automaticamente o manualmente lascia che la puntina si insinui tra i solchi estraendone il contenuto.

Il secondo, ahimè, è invece quello che prende il disco utilizzando le dita a mo’ di pinza e letteralmente lo lancia sul piatto, occasione che al 99.9% fa sì che questo scivoli di lato senza innestarsi nell’apposito perno; segue movimento rotatorio atto all’inserimento con inevitabile danneggiamento dell’etichetta, circostanza evidenziata dai segni concentrici disposti perimetralmente al foro del disco.

A seguire – e credetemi che capita più spesso di quanto si pensi – posiziona il braccio ad inizio disco compiendo un movimento di tipo “parabolico” che se si trattasse di una spalla ne uscirebbe certamente lussata tanto innaturale è tale gesto.

Chiaramente anche il fonorivelatore ha la sua importanza!

 

Chiaro che date queste premesse il povero disco – per quanto resistente – vedrà aumentare le possibilità di danno in modo esponenziale, pertanto, se la fruizione del contenuto avviene operando con la dovuta attenzione, il disco non correrà alcun pericolo.

D’altronde qualsiasi analogista ha ben presenti le operazioni da compiere – e normalmente le compie in maniera più che accorta – e forse sono proprio queste ad ingenerare il timore che il disco sia fragile e sempre potenzialmente esposto al danno, ma la realtà non è affatto tale, sufficiente pensare ad una circostanza assolutamente emblematica: l’uso in discoteca.

Qualcuno ha memoria di vari tic e toc chiaramente uditi durante le infuocate sessioni danzerecce dell’epoca? Se così fosse stato – considerando l’obbligata manualità del DJ ed il contesto generale – il vinile sarebbe estinto da tempo quasi immemore.

Qui trovate un interessante video che mostra la nascita di un vinile, notate l’elevata e quasi costante manualità applicata durante il processo di produzione.

Come al solito, ottimi ascolti!!!

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