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Vinile digitale: quando la remaster supera l’originale

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CCR, Green River, 180gr, Universal 2014.

Originale o remaster. La guerra non si concluderà mai. Una fazione o l’altra, il conflitto fra gli appassionati gelosi del suono vinilico realmente analogico da master e la new gen che ha riscoperto il fascino del vinile di ovvia provenienza digitale perdurerà. Ma su quali basi si fonda, nella realtà ed aldilà delle polemiche più sterili? Vi sono, in altri termini, dei vinili (chiaramente disponibili anche in CD – essendo digitali) rimasterizzati oggi che suonano, oggettivamente, meglio e in maniera più soddisfacente rispetto agli omologhi storici analog? Secondo noi sì, e, per giunta, ve ne proponiamo qui 3. Si tratta di casi abbastanza perentori, ma l’audio, si sa, anche se dovrebbe basarsi su presupposti tecnici, è alla mercé del totale relativismo soggettivistico. Ci direte, dunque, la vostra…

Partiamo da un presupposto ontologico. Effettivamente, potremmo, o dovremmo, chiederci: ha senso nel 2023 un vinile di origine totalmente digitale. Ne abbiamo veramente bisogno? Forse no. Se, in effetti, è questo pare evidente, a priori non c’è un master analogico come era quando si registrava in questo modo negli studi di tutto il mondo (fantastici tempi, non a caso forieri delle registrazioni che, alla fine, ci ispirano di più), perché dovremmo incidere un vinile? Il processo di remaster dei dischi storici è una delle più brillanti innovazioni nella musica fin dall’avvento del CD (ma sarebbe meglio dire dalla metà degli anni ’90, quando le tecnologie di remastering, vedi il 24bit, hanno veramente iniziato a rendere giustizia alle registrazioni originali).

Proprio per questo, dunque, non sarebbe meglio digitalizzare l’originale master, duplicarlo e poi ribaltarlo in digitale e fruirlo su CD o in formato hi-res all digital? Si manterrebbe così ben divisa la qualità analogica da quella digitale, evitando confusioni tutt’altro che scontate.

È quello che, ovviamente, si fa. Soltanto che, a fianco di tutto questo, che di fatto è il procedimento standard nella rimasterizzazione di un master analogico, si ribaltano queste registrazioni ultra dinamiche digitali sul vinile, che, di per sé, è un supporto analogico e non riesce, per sua natura, a gestire questo materiale come farebbe un CD o un qualsiasi supporto digitale. E sulla dinamica…non dovrebbero esserci troppe perplessità.

E allora perché ci sono parecchie, per non dire molte, copie viniliche digitalizzate che suonano meglio dell’impomatata copia analogica che alberga nei nostri cuori?

È ovvio, e ci sentiamo di ribadirlo con pertinacia, che la remaster faccia, semplicemente, miracoli. Soprattutto quando all’origine non possiamo che apprezzare un prodotto sonico ambrato, scuro o con un palcoscenico ristretto, come spesso accadeva in mancanza di dinamica. Ci sono, quindi, effettivamente dei vinili, e la cosa è filosoficamente grottesca, digitali che rendono molto meglio dell’originale storico. Il perché è tutto nella tecnologia utilizzata, che il più delle volte, quando non si esagera coi loudness, fa davvero la differenza. E per noi audiofili questo è un valore molto apprezzabile, spesso rivoluzionario se pensavamo a come si ascoltavano le medesime registrazioni in audio cassetta o vinile. Insomma, spesso non c’è partita (non sempre, comunque).


E allora quali sono queste registrazioni viniliche digitali così esuberanti quando paragonate all’originale?

Doors, Strange Days

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The Doors, Strange Days, 180gr, Rhino 2019.

La produzione dei Doors è una di quelle che hanno guadagnato maggiormente nel processo di remastering nel corso dei decenni. Questa edizione del loro secondo, leggendario, album, è molto valida, Non solo per il chiaro passaggio dall’originale MONO allo STEREO, ma per via di una freschezza, una limpidezza difficilmente riscontrabile in ognuna delle canzoni in formato originale. When the music’s over, per esempio, quale lunga suite blues psichedelica, gode di dinamica, qualità dei silenzi e timbrica decisamente brillanti.

John Mayall & Eric Clapton

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Blues breakers, John Mayall and Eric Clapton, 180gr, Decca 2021.

Siamo dalle parti di uno dei dischi fondamentali nella storia del blues rock, vero vaso di Pandora per tutta la produzione rock tanto inglese che americana. Inutile spendere poche parole per descrivere un album che portò una generazione a paragonare Clapton ad un Dio. Ma, parliamo piuttosto d’audio. L’album in questione, come del resto la produzione anglosassone dell’epoca, si segnala per una resa originale veramente confusionaria. Scura, ma soprattutto poco dettagliata e con risultati sugli alti non aderenti a standard che potremmo definire hi-fi.

Questa remaster non può fare troppi miracoli, ma se si vuole apprezzare Mayall al meglio, questa è la scelta. I miglioramenti sono decisi, non v’è dubbio.

CCR, Green River

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CCR, Green River, 180gr, Universal 2014.

Se l’Inghilterra ha avuto Mayall, Clapton Beck e Peter Green, cosa ne sarebbe stato del blues rock, dello swamp e del Southern, senza i Creeedence. Leggende seconde a nessuno, si caratterizzavano per un suono rustico e potente, condito dall’unica aspra voce del mito John Fogerty. Come suona questa remaster?

Assolutamente bene. A fianco delle prime dizioni ristampate, anche in CD, che esibivano un suono ancora un poco impreciso e sporco, questa edizione digitale LP fa un bel lavoro di schiarimento e pulizia. Il suono è addirittura brillante, ma mantiene quella patina di sonorità non discreta che certamente non dispiacerà agli appassionati che hanno conosciuto le versioni originali.

Però suona meglio, eh…

 

 

 

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