Anche se le ragioni dietro all’aumento di 50 euro di PlayStation 5 sono discutibili, quello di Sony potrebbe essere il primo segnale di una tendenza generale al rialzo dei prezzi
La recente decisione di Sony di aumentare di 50 euro il prezzo delle due versioni di PlayStation 5 in Europa e non solo (ma per ora gli USA restano esclusi) ha fatto discutere. Non solo perché è la prima volta che il prezzo di una console, a quasi due anni dalla sua uscita sul mercato, viene aumentato e non diminuito, ma anche perché Microsoft, poche ore dopo l’annuncio di Sony, ha precisato che non ha alcuna intenzione di fare lo stesso con Xbox Series S e Series X.
Sony, come motivazioni per l’incremento dei prezzi, ha parlato dell’inflazione e dell’odierna situazione globale (economia, crisi energetica, carenza di microprocessori), senza però scendere nei dettagli. Un aumento simile, che equivale a circa il 10%-15% dei prezzi di listino originali, rimane però difficile da mandare giù per una serie di motivi.
Fermo restando che una PlayStation 5 non è certo un bene di prima necessità, non capiamo come un prodotto vecchio di quasi due anni possa costare ancora così tanto (e, anzi, sia aumentato di prezzo) quando le linee produttive, gli investimenti in ricerca e sviluppo e l’effettivo calo dei prezzi di alcuni componenti (si pensi solo a RAM e SSD) dovrebbero in realtà far propendere per costi di produzione minori e non maggiori.
Ovviamente, non abbiamo accesso alla “lista della spesa” di Sony per la produzione di PlayStation 5, ma se è vero che anche altri prodotti tech già sul mercato da diverso tempo hanno subito un rincaro dei prezzi (pensiamo solo al visore VR Meta Quest 2, aumentato addirittura di 100 euro), per moltissimi altri device non si è assistito ad alcun incremento dei prezzi. È il caso ad esempio di Nintendo Switch, delle già citate Xbox, delle schede video di Nvidia (addirittura calate nell’ultimissimo periodo) e di Steam Deck, la console-PC portatile di Valve che dall’annuncio della scorsa estate ha mantenuto inalterati i prezzi iniziali.
E parliamo sempre di prodotti con al loro interno chip di qualsiasi genere (dalle CPU alle GPU, passando per memorie RAM e storage) e già disponibili sul mercato da un po’ di tempo (Switch ha ormai più di cinque anni). Un conto infatti è aspettarsi incrementi di prezzi per prodotti appena usciti o che devono ancora uscire (gli iPhone 14, ad esempio); un altro conto è vedere incrementi di oltre il 10% su device ormai maturi a livello produttivo e con componenti che non sono certo tra i più recenti, prestanti e costosi.
Il fatto poi che Sony non abbia esteso l’aumento del prezzo anche al mercato USA fa pensare che dietro all’aumento dei prezzi non ci siano solo inflazione (galoppante anche oltreoceano) e situazione contingente. Sony lo ha fatto per non dare un ulteriore alibi all’acquisto di Xbox (che a quanto pare negli USA sta andando alla pari se non meglio di PS5)? O tra un po’ allargherà l’aumento anche a quel mercato? Non lo sappiamo.
E non sappiamo nemmeno se questo di Sony sarà solo il primo di molti altri casi più o meno eclatanti dovuti alle mille difficoltà economiche post-pandemiche (speriamo ovviamente di no), o se sarà solo un caso isolato di una multinazionale che, per ragioni più o meno valide o per superare un momento di difficoltà (Sony, a differenza di Microsoft, punta ancora molto sulle console vendute e molto meno su servizi e abbonamenti), ha deciso di aumentare il prezzo del suo prodotto hardware di maggior successo. Che, tra l’altro, continua a essere pressoché introvabile nei punti vendita fisici (se non tramite costosi bundle con giochi e accessori) e sugli store online. Se non è un paradosso questo…
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