L’attuale pandemia non ha impedito – e per fortuna – che anche quest’anno si svolgesse quella che è la manifestazione più nota a livello mondiale relativa alla canzone italiana. Anche lo scorso anno ci eravamo espressi su un evento che malgrado tutto, ovvero al netto delle immancabili polemiche che puntualmente circondano questi tipo di manifestazioni canore, si era svolto seppure in tono minore, vale a dire privo del pubblico che usualmente affluisce copioso nel teatro Ariston.
SANREMO 2022 – ANTEPRIMA
L’aspetto che personalmente trovo davvero triste e che come la più precisa delle pallottole colpisce il “bersaglio” Sanremo 2022 – che poi faccia centro è un altro discorso – sono le polemiche incredibilmente faziose che si generano ogni qual volta ci si avvicini alla data d’inizio di questa manifestazione.
Probabilmente esistono soltanto altri due contesti dove la verbosità è tanto accesa: il calcio ed i vaccini.
Basta farsi un giro per i vari social che ormai fanno parte della nostra vita per leggere tutto ed il contrario di tutto: cattiverie più o meno verosimili di vario genere, affermazioni epocali, riferimenti ad uno spesso sconosciuto passato fanno da corollario alle performances degli artisti, nemmeno fossero parte integrante del contesto.
Quello che trovo sconcertante è la gratuita esposizione di certi argomenti, questo continuo digrignare i denti, questa animosità perennemente sottobraccio quasi sempre accompagnata da giudizi tranchant che nemmeno il più feroce critico musicale si azzarderebbe ad esprimere.
Giudizi – si badi bene – sovente tirati fuori da fieri ascoltatori radiofonici, da coloro che riconoscono al volo l’ultimo pezzo di “chissàcomesichiamaalmomentonomeloricordomaloconoscogiuro” la cui cultura musicale è pari a quella di un moscerino del vino.
Gente che fino a ieri sceglieva nei cestoni dell’autogrill la musica da ascoltare e che improvvisamente si trasforma nel Mario Luzzato Fegiz de noantri – lui si, un critico con gli attributi, pure belli grossi! – e spara sentenze draconiane, sentenze che farebbero impallidire Re Salomone, fosse ancora in vita.
In tutta onestà invece, trovo che la conduzione di Amadeus e Fiorello sia sempre – a conti fatti – del tutto coerente con il “sistema” Sanremo, ovvero disponga di quel mix di serietà e cazzeggio (passatemi il termine) che da sempre accompagnano il Festival, quindi, terminato il necessario sfogo, parliamo di lui, del Festival!
Ah, dimenticavo di riferirmi alla partecipazione dell’amata/odiata Ornella Muti – non credevate mica che si sarebbe sottratta alle critiche vero? E quando mai…..in ogni caso, delicata e di classe come le si addice, forse leggermente impacciata all’inizio ma poi – si sa – la paura passa.
SANREMO 2022 – LA GARA
Gli artisti in gara non sono di certo “immondizia sonora” (o canora se preferite) ed anzi, a ben sentire, molte proposte sono effettivamente originali, ben suonate ed arrangiate nonché dotate di testi in linea con il particolare momento, necessariamente specchio della produzione artistica come sempre storicamente è accaduto.
In premessa va sottolineato – al pari dello scorso anno – come i problemi audio abbiano fatto anche quest’anno la loro parte affliggendo le interpretazioni, problemi presto risolti ma che onestamente fanno pensare circa l’organizzazione di un evento che non nasce di certo in un paio di giorni, anzi, si narra che il giorno dopo la serata finale si ricominci in prospettiva del prossimo.
Chiaro che l’incipit a base di Achille Lauro abbia fatto torcere le budella a più d’uno sollecitando aspre critiche tese ad inopportuni paragoni col passato, dove molti dimenticano le esibizioni di Louis Allan Reed (per gli amici Lou) oppure dell’iguana del rock Iggy Pop, il cui torso è ben noto ai cultori del genere. Tralascio quello di Jim Morrison, qualcosa che suppongo sia ampiamente conosciuto, se non altro ad opera del film “The Doors” di Oliver Stone risalente al 1991, molto ben interpretato da Val Kilmer, allora giovane ed assolutamente in forma.
Anacronistico? Fuori luogo? Sacrilego? Forse, resta il fatto che è parecchio più originale delle mille fotocopie esistenti di tanti artisti dell’ugola (?) che come replicanti aumentano fin troppo ogni giorno che passa, personaggi assolutamente innocui dal punto di vista del lascito artistico ed emozionale, riusciranno forse a godersi un po’ la vita con i blandi guadagni conseguiti con le loro opere, ma talmente effimero è il loro contributo alla storia della musica che spariranno presto come l’attimo di luce di un fiammifero.
Lui no, rimarrà se non altro quel suo essere irriverente in maniera tanto esibita da far pensare al plagio – d’autore però – e quindi non mancheranno coloro che si stracceranno le vesti per una sorta di ostentato moralismo altrettanto falso.
Morandi e Ranieri si confermano due veri e più che consacrati eroi della canzone italiana, assolutamente inossidabili nelle loro proposte concretamente gradevoli e sempre dotate di quella classe che contraddistingue i veri BIG della canzone.
Tra gli altri, sorprendenti Mahmood e Blanco – e forse anche no – la cui interpretazione lascia uno stabile segno su una tela altrimenti un po’ scarna. Non male Yuman, il cui connotato soul rende il pezzo interessante a dispetto dell’outfit leggermente oversize e fuorviante come dresscode.
Direi classica Noemi, peccato solo che all’iniziale morbido andamento abbia fatto seguito un sovraccarico di elettro-pop eccessivo, a parte il classico (per lei) graffiato finale strascinato.
Da risentire La rappresentante di Lista, brano che vede negli arrangiamenti piuttosto originali un interessante aggancio al testo; il gesto a chiusura del brano, cosa che non ha mancato di scatenare accese polemiche, potrebbe essere semplicemente legato al titolo della canzone, seppure in molti ci abbiano visto un evidente riferimento politico.
Di Michele Bravi rammento ancora oggi l’esordio a Sanremo nel 2017 con Il diario degli errori, un brano che mi rimase impresso, delicato ed introspettivo; non si smentisce quindi, proponendone uno altrettanto profondo e sentito, bravo (nomen omen?).
Destinata all’oblio (almeno da un punto di vista artistico in senso proprio) Ana Mena la quale – pur risparmiandoci il classico reggaeton adesso tanto (troppo) di moda – non si è sottratta all’impegno proponendo un brano davvero incolore.
E i Maneskin? Tranquilli, non li ho dimenticati, anzi, a dire il vero non mi sono mai stati simpatici come in questo periodo, se non altro per la perfidia e la cattiveria di cui sono quotidianamente bersagliati da parte dei soliti haters che spopolano sul web – sarà colpa dei cestoni? – soggetti la cui infelicità deve necessariamente fuoriuscire in qualche modo.
Io invece sono contento, contentissimo che quattro ragazzi siano investiti da questo successo, felice che i loro sogni (perché ancora molti ragazzi per fortuna sognano) si stiano avverando, un successo meritato, meritatissimo, riconosciuto a livello mondiale da chi davvero se ne intende, Jagger docet.
Ci aggiorniamo presto con le restanti serate del Festival!
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