Come sono cambiate le dinamiche di prezzo del mondo hi-fi dagli anni ’80? E oggi come possono reagire i negozianti allo strapotere del commercio online?
Una doverosa premessa: ho avuto un negozio a Milano e sono stato importatore dagli Stati Uniti, Nord Europa e Inghilterra. Ho quindi esperienza per parlare di prezzi e distribuzione di prodotti HiFi. Seconda considerazione fondamentale: ogni attività economica deve produrre utili, pena la chiusura dell’attività stessa.
Partiamo dagli anni 80, considerati gli anni d’oro dell’alta fedeltà domestica.
Si vendeva infatti qualunque prodotto, era un fatto culturale. Il primo oggetto importante che si comprava era lo “stereo”. Oggi si pensa prima di tutto al telefono cellulare, ma questo è un altro discorso che faremo più avanti.
In quegli anni il prezzo al pubblico era il risultato di questo calcolo (mi riferisco agli importatori tradizionali, non ai colossi come Pioneer, Sony, Bose, Philips ecc.): prezzo export moltiplicato per 1.7 al negozio, il quale moltiplicava per 1.3 e rivendeva al pubblico.
Il prezzo export era mediamente il 50% del prezzo al pubblico nel paese di origine. Se volete quindi fare un esperimento, guardate in origine quanto costa un prodotto sul suo territorio e fate i vostri calcoli. Questo 50% di sconto sul prezzo in origine ricordo che generava malcontento nei colleghi importatori, specialmente se arrivavano comunicazioni al distributore con la dicitura iniziale di “Dear Dealer” (caro negoziante n.d.r).
Il suddetto distributore si arrabbiava molto, considerandosi superiore ad un negoziante, ma in realtà voleva dire che il fatturato che sviluppava in Italia era simile ad un negoziante del Kentucky o della Florida.
Da questo 50% di partenza, il distributore calcolava i costi di trasporto e sdoganamento, eventuali dazi, investimento finanziario, magazzinaggio, rappresentante (circa 10/12% all’epoca), utile aziendale.
Evidente che in questo modo i costi lievitavano molto e l’effetto più deleterio era che i prodotti venivano spostati di fascia di mercato, causando non poche perplessità nel consumatore (“ ma come, in USA costa così, perché qui costa così tanto…”).
Alcuni esempi: Hafler, elettroniche dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, esportate qui, diventavano High End senza averne i requisiti.
Per capirci, una Panda, per quanto ottima, può costare 10/15 mila euro, non 30 mila!
Oppure Mark Levinson o McIntosh o Krell. Nel paese di origine costavano per ogni prodotto mediamente come un mese e mezzo di salario di un carpentiere (sono stato diverse volte negli Stati Uniti in quel periodo per seguire alcune aziende High End), cioè 3000/5000 dollari.
Qui costavano come un anno e mezzo di stipendio di un lavoratore medio. Evidente che questo sistema non poteva reggere.
I consumatori, per difendersi, e volendo continuare ad acquistare prodotti di qualità, hanno cominciato a rivolgersi al mercato estero, acquistando nel paese di origine o negozianti fuori Italia (non c’era ancora internet come oggi e come vedremo più avanti), oppure con scambio tra privati, bypassando importatori e negozianti.
Questo, a grandi linee, è quello che è successo tra il boom degli anni 80 e i successivi anni 90.
Oggi, negli anni 2000, con i classici ritardi nei confronti dei mercati più avanzati (USA e Giappone in primis) e il nostro italiano ed europeo, assistiamo ad una stratificazione del mercato che vede due grandi realtà: i sempre meno rimasti negozi hifi (le grandi catene hanno rinunciato da anni alle sale hifi) e il commercio online.
Questo è un passaggio obbligato per tutti, non si può restare nel mercato se non si ha una forte presenza nel commercio online.
Nello specifico, in particolare in Italia, ci sono diverse forme di vendita sul web, dalla più “finta”, cioè il solo catalogo fotografico, con prezzi stracciati e consegna a 10/15 giorni (il tempo di ordinarlo al distributore una volta ottenuto il pagamento anticipato), a quella strutturata con negozio fisico, magazzino e prezzi tutto sommato allineati al mercato europeo.
Tornando alla struttura del prezzo al pubblico degli anni 80/90, vediamo come sono formati oggi questi prezzi.
Se i prezzi al pubblico in Europa sono oggi molto vicini al prezzo di origine del prodotto, dove sono i margini di lavoro che si citavano all’inizio?
In una semplice sentenza: taglio dei costi.
Gli importatori, e parlo sempre mediamente, hanno praticamente azzerato i magazzini. Importano quando serve. Riduzione dei pagamenti lunghi ai negozianti, che così hanno meno esposizione di prodotti perché ora devono pagare quello che hanno in negozio, niente più prodotti in visione.
Poi si passa alla riduzione delle provvigioni per i rappresentanti, non più il 10 ma dal 3 al 5 per cento: questo spiega anche la moria di rappresentanti, non possono permettersi i costi di esercizio. C’è anche da tener presente che oggi la funzione del rappresentante, che una volta “presentava” i nuovi prodotti al negozio, si è molto ridotta: ora con il web, tutti sanno tutto prima che i prodotti siano in commercio. Un altro motivo per i negozianti per essere presenti in modo efficace sui social. Ma ne parleremo più avanti.
Il margine del negozio anch’esso ridotto e quindi spesso impossibilitato a ritirare l’usato per la vendita del nuovo.
Tutto questo ha due conseguenze: contrazione del mercato e chiusura dei negozi. Ribadisco quanto detto all’inizio, senza giusto profitto, ogni azienda commerciale è costretta a chiudere.
Sento l’obiezione che il mercato si contrae perché al pubblico non interessa l’HiFi, ma allora come si spiega che tutte le statistiche internazionali confermano che le nuove generazioni ascoltano musica in modo molto maggiore delle generazioni precedenti?
Come se ne esce?
Nuovo mercato con nuovi prodotti per nuovi utenti e quindi nuovi negozianti (che non snobbano il commercio online). Ne riparleremo.
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