La musica liquida è il presente ed il futuro dell’alta fedeltà. Su questo, non vi sono troppi dubbi. I vinili ed i CD continueranno ad esistere, con tutta probabilità, ma è un fatto: oggi il mercato della musica è nelle mani delle piattaforme streaming. Anche per l’hi-fi. Molte piattaforme, nate specificatamente per il suono in alta definizione hi-res, promettono un suono perfetto, in alta fedeltà ed a massima risoluzione. Senza alcun limite o difetto. Senza interpolazioni, o alterazioni del segnale originale. Ma, sarà davvero così? Abbiamo interpellato Carlo Fabrizio Cardillo, un appassionato ed esperto di alta fedeltà hi-end, con un occhio spiccato per le tecnologie digitali e di derivazione informatica. Vediamo cos’ha da riferirci.
La musica liquida che, per molti, è una vera chimera quando si tratta di alta fedeltà, è stata una rivoluzione. Non più limitata da standard lossy (come mp3 o AAC), negli ultimi anni è divenuta, per la comodità, la risoluzione, il prezzo concorrenziale degli abbonamenti, o tutto insieme, la scelta per molti audiofili. Niente più mobili con infinite serie di CD o vinili, niente ottica o puntina, ma una libreria digitale infinita (almeno fintantoché reggono gli accordi fra discografici e piattaforma).
Esperienze personali vaste, soprattutto nell’ascolto in fiere e negozi, ci hanno convinto della bontà delle piattaforme hi-res. Un retrogusto amaro, però, resta. Il suono, spesso, ci è parso diverso, interpolato rispetto al segnale rintracciabile altrove, sui supporti fisici (evitiamo la querelle CD-vinile: qui, la questione è ben diversa).
Siamo certi che non vi siano, per nulla, compromessi in questa musica dominata da risoluzione elevatissime, frequenze esagerate e livelli sonici, teoricamente, inarrivabili per il CD, e lo stesso analogico?
Per offrire qualche tassello in più nel tentativo di sciogliere questo arcano e per ascoltare il parere di una personalità competente in materia, abbiamo interpellato Carlo Fabrizio Cardillo. Un esperto, un divulgatore sulla rete (il suo sito è www.cfc1962.it), e per molti una guida quando si tratta di hi-end di riferimento.
Appassionato da una vita, il signor Cardillo, ha potuto testare e confrontare buona parte del meglio dell’hi-fi degli ultimi 50 anni, ma è soprattutto in virtù delle sue competenze in materia digitale ed informatica, che abbiamo chiesto un suo parere in tema di piattaforme streaming. Carlo Cardillo è competente in materia per via delle sue mansioni in un’agenzia governativa che si occupa di informatica. Egli è, inoltre, un ex musicista jazz/rock/fusion ed ha studiato musica presso il Centro Jazz Saint Louis (Roma), forse il più eminente dipartimento per lo studio del Jazz in Italia.
Lasciamo al signor Cardillo la parola, domandandogli: musica liquida e streaming, è questo il futuro dell’alta fedeltà?
«Una bella domanda, con tante possibili risposte a seconda dell’utenza, vediamo caso per caso. Cominciamo con la risposta che darebbero gli audiofili 50/60enni.
Essi già fecero fatica a digerire il cd, alla metà degli anni 80, quando piano piano iniziò a soppiantare il tanto amato giradischi. L’audiofilo appartenente a questa classe risponderebbe di si alla domanda, ma con l’indifferenza di chi continuerebbe ad ascoltare la musica dal suo adorato impianto. Qui, spesso, la sorgente centrale è tornata ad essere il giradischi. Pur attratto dalla musica liquida, non lascerebbe mai la sorgente regina a favore di qualcosa che non si prende con le mani, che non si può stivare se non in un hard disk, in un N.A.S. o addirittura in un cloud server.
La generazione dei 30/40enni
Il gruppo dei 30/40enni, pur nativi analogici, ma troppo giovani quando il digitale soppiantò il supporto vinilico in favore di quello argenteo, hanno vissuto l’avvento dei files di musica compressa (MP3). Ricordiamo la tempesta Napster, che sconvolse l’industria discografica. Non fu stravolto solo il come ascoltarla, ma anche il dove, consentendo una maggior portabilità di dispositivi che fino ad allora apparteneva ai grandi e pesanti walkman e cd player portatili. Nulla ha avuto più diffusione dei lettori di musica mp3 portatili.
Credo che questi 30/40enni, oggi da poco diventati genitori alcuni, più felicemente single forse la maggioranza, risponderebbero si alla domanda. Per loro il futuro della riproduzione fedele della musica è certamente lo streaming. L’ascolto, anche in ambito domestico, è quello tramite sorgenti digitali dove sono immagazzinate librerie musicali immense che si possono trasferire da una persona all’altra in pochi minuti e gestire facilmente da remoto.
Le nuove generazioni
Ed infine ci sono i millennials. Quelli nati nel terzo millennio, ove gli audiofili sono come fili d’erba nel deserto. Coloro che non sanno nemmeno cosa sia una testina, un capstan, una valvola. Sono coloro che il giorno della loro comunione, tra i regali, hanno trovato un Ipod touch, se non addirittura uno smartphone. Altro oggetto che ha cambiato le nostre vite. Questi giovani, giovanissimi, hanno di norma ascoltato solo musica liquida da piattaforme streaming, prima tra tutte Spotify.
Quali sono, dunque, le necessità di questa musica digitale e digitalizzata, visto anche il nuovo target?
Proprio per questa necessità d’essere indirizzata ad un pubblico giovanissimo, la musica digitale in streaming ha sentito la necessità di “pompare” la dinamica, di alterarla per ottenere più sostanza tramite quelli che oggi sono i metodi più diffusi per l’ascolto. Sistemi che, ovviamente, non sono hi-fi, o hi-end.
Come sappiamo, oggi, la maggior parte delle persone ascolta la musica tramite cuffie o auricolari, soundbar, diffusori bluetooth, mentre difficilmente vedremo un giovane ascoltare questa musica dall’impianto del padre o comunque da un sistema hi-fi. La musica in streaming, quindi, ha esigenze soniche endemicamente differenti rispetto alla musica da fruire in stereofonia hi-fi. Questo avviene dalla dinamica, ai piani sonori, al modo stesso di ascoltarla.
Originariamente, essa nasce per un pubblico diverso da quello del CD o del vinile. È un fatto. Un pubblico che, in generale, è disinteressato ad un ascolto d’alta fedeltà. E questo, per l’audiofilo, è un problema poiché, alterando il segnale, si pregiudica la naturalezza del suono, che dovrebbe, invece, essere d’alta fedeltà.
Non tutti, quindi, si avvicineranno all’ascolto della musica in streaming, spesso per pigrizia o per mancanza di informazione. Ma anche perché l’audiofilo più esperto e smaliziato, seppur aperto alle esperienze ed alle nuove tecnologia, una volta ascoltata la musica attraverso una delle dette piattaforme streaming, si accorgerebbe che non è un suono vero, reale, si accorgerebbe che il suono, pur accattivante al primo ascolto, non è lo stesso di quello a cui è abituato.
Ma allora per gli audiofili più integralisti e convinti, il futuro della riproduzione musicale è questo?
Lo streaming audio garantirà piattaforme sempre più fornite e sofisticate?
C’è una piattaforma che suona meglio dell’altra?
Queste sono le domande a cui vorremmo veramente le risposte.
Il dibattito è aperto».
Dichiarazioni importanti, dunque, ma che meritano scrupolosa attenzione, se non altro per guardare con occhio più critico quello che per molti è già un indimostrato dogma.
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