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Loudness War: la musica a “tutto volume” ha ancora senso?

loudness war

Anche se non ai livelli di fine anni ’90 e inizio 2000, la tendenza a far “strasuonare” la musica digitale è ancora in voga e gli effetti della Loudness War sono tutt’altro che assopiti

Le persone preferiscono generalmente il suono di un brano musicale quando viene riprodotto a un volume più alto rispetto a quando lo ascoltano a un volume più basso. Negli ultimi decenni questo fenomeno psicoacustico ha portato all’emergere di tecniche di produzione musicale guidate da una mentalità “più forte è, meglio è” e al fenomeno della cosiddetta Loudness War (o guerra del volume). Ma cos’è esattamente e perché ha cambiato così profondamente il modo di produrre e ascoltare musica?

All’inizio, quando le registrazioni analogiche venivano realizzate su dischi in vinile, i solchi dovevano essere abbastanza grandi per fornire un buon livello di segnale rispetto al rumore di superficie. Tuttavia, a causa di limitazioni fisiche, il segnale non poteva essere troppo grande. Un solco troppo ampio riduceva infatti la durata massima del disco e oscillazioni di grande ampiezza potevano far rimbalzare la puntina, causando altri problemi.

Negli anni ’60 si è iniziato a usare in modo massiccio il compressore analogico, uno strumento studiato per ridurre il livello dei picchi nel segnale audio e per applicare un guadagno fisso in modo da riportare i picchi alla loro ampiezza originale. Il risultato fu un aumento del livello medio, legato a come percepiamo il volume, con un’ampiezza del segnale di picco invariata. Questo tipo di elaborazione del segnale riduce la gamma dinamica a favore del volume complessivo: in pratica, viene ridotta la differenza tra i suoni più bassi e quelli più alti. Se l’azione del compressore diventa “estrema”, può rendere la musica molto meno naturale e completamente priva di dinamica.


Un altro step verso la Loudness War è iniziato negli anni ’80 con l’avvento del CD. L’audio digitale differisce infatti da quello analogico in due modi fondamentali: ha un rumore di fondo molto più basso e ha un’ampiezza di picco massima ben definita che non può essere superata. Se parte di un segnale audio supera quel limite teorico, il suono si “taglia” (la forma d’onda viene squadrata) e il picco della forma d’onda al di sopra del limite viene perso.

Per questo motivo, i tecnici audio furono inizialmente cauti con il livello del segnale dei CD, consentendo un ampio margine di sicurezza. Tuttavia, non ci volle molto prima che la già citata mentalità “più forte è, meglio è” si facesse largo ancora una volta. Anche ai tempi del vinile si sapeva che una volta che i picchi del segnale raggiungevano l’ampiezza massima consentita, il livello medio e il volume percepito potevano essere ulteriormente aumentati applicando più compressione e guadagno alle registrazioni. Con la compressione, i picchi si avvicinavano più frequentemente al limite massimo di ampiezza e, durante gli anni ’90, alcuni ingegneri scelsero questo approccio, iniziando a sfornare album notevolmente più “rumorosi”.

Intendiamoci, fare un disco ad alto volume non è di per sé una cosa negativa, ma visto che nessuno voleva che il proprio CD suonasse “meno forte” di un altro, il volume medio delle produzioni musicali è aumentato nel tempo, la guerra del volume si è intensificata e la gamma dinamica ha continuato a ridursi. Le cose si sono ulteriormente evolute in tale senso con l’avvento di limiter e compressori digitali, workstation audio digitali e plug-in audio (chi ricorda il Waves L1 Ultramaximizer?), che hanno consentito una manipolazione ancora più estrema della dinamica.

Ecco come si è evoluta la loudness war nel corso degli anni

Questi strumenti, la cui azione si vede chiaramente osservando la forma dell’onda di una traccia audio ipercompressa (che appare priva di avvallamenti e livellata all’inverosimile), hanno fatto sì che, a partire dalla metà degli anni ’90, gli ingegneri audio potessero rendere le loro tracce significativamente più rumorose di prima. L’album (What’s The Story) Morning Glory degli Oasis è considerato un esempio di riferimento di come quantità eccessive di compressione, combinate con un uso estremo dei limiter, possa creare qualcosa di assurdamente rumoroso. E che dire di Death Magnetic dei Metallica?.

Un album talmente compresso che in diverse recensioni se ne criticava fortemente la scarsa qualità del suono. La distorsione era così evidente che chiunque l’ascoltasse poteva finalmente sentire e capire i lati negativi di rendere i CD sempre più rumorosi. E aggiungiamo alla lista anche Californication dei Red Hot Chili Peppers, un CD funestato da un così eccessivo numero di clipping digitali ad alta frequenza che gli appassionati di audio lo hanno ritenuto quasi inascoltabile.

Con il passare degli anni, la Loudness War ha però cominciato ad attenuarsi, forse perché si era raggiunto il punto di non ritorno con produzioni che iniziavano a diventare quasi fastidiose. Replay Gain è stato introdotto nel 2001, lo stesso anno dell’iPod, come primo algoritmo di livellamento del volume per i file musicali. Poco dopo i lettori audio digitali e i software di riproduzione multimediale hanno cominciato a leggere i valori del volume dei metadati e a regolare di conseguenza il livello di riproduzione per ciascuna traccia, senza che ciò avesse alcun impatto negativo sulla fedeltà audio.

Oggi, tutti i servizi di streaming applicano automaticamente livelli di volume normalizzati generalmente basati sulla Integrated Loudness, una misurazione del volume per l’intero file audio. La maggior parte dei servizi di streaming si normalizza a -14 LUFS (l’unità standard di misurazione del volume per il broadcasting). Se quindi una canzone è settata a -8 LUFS, verrà abbassata di 6dB.

Anche l’intervallo del loudness (loudness range), una misura della dinamica di una traccia, ha un posto nei metadati del file audio. L’applicazione di queste misure e particolari tecniche di livellamento consentono il passaggio da un “picco normalizzato” a un ” volume normalizzato”, che rende possibile passare, ad esempio, da Aretha Franklin ai Metallica senza che si debba regolare la manopola del volume. Nonostante ciò, sono ancora molte le produzioni musicali odierne che <strong>prediligono volume al posto della dinamica e del “buon sentire”, soprattutto in certi generi come il pop e l’R’n’B in cui, a contare, sono soprattutto l’impatto immediato e la “botta” sonora iniziale. Immagino già la risposta, ma anche voi (come il sottoscritto) vorreste, più che una Loudness War, una Dynamic War?

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