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La rivoluzione della televisione liquida e secondo switch-off

Dal digitale terrestre a Internet, ai servizi streaming e video on demand la televisione liquida è sempre più finestra digitale sull’intrattenimento

In periodo di lock-down con le case (sovr)affollate è aumentata esponenzialmente la fruizione della televisione liquida. Lo spettacolo e la moltitudine di programmi non passano più necessariamente attraverso i consueti broadcaster, siano essi declinati in ambito digitale terrestre che via satellite, ma anche e sempre più via Web. Considerazione valida per le televisioni ‘smart’ in circolazione che dovrebbero già includere il modulo DVB-T2, quello che occorrerà per proseguire la visione a fronte del secondo switch-off che interesserà anche l’Italia e che teoricamente dovrebbe concludersi verso la metà del 2022.

Fra poco più di due anni dovranno infatti liberarsi le frequenze attualmente in uso (banda 700 MHz) al digitale terrestre per dare spazio al servizio mobile 5G. In teoria le date prefissate per il passaggio al DVB-T2 sono le seguenti: dall’1 settembre al 31 dicembre 2021 si inizierà con Valle d’Aosta, Piemonte (Torino), Lombardia (Milano), Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige; dall’1 di gennaio al 31 marzo 2022 sarà poi la volta di Liguria (Genova), Toscana, Umbria, Lazio (Roma), Campania (Napoli), Sardegna; infine dall’1 aprile al 30 giugno 2022 si concluderà con Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Abruzzo, Molise e Marche. Esattamente come accaduto in passato quando ci fu lo switch-off dall’analogico al digitale la transizione sarà obbligatoria per coloro che vorranno continuare a visionare la ‘tv generalista’, ma anche eventuali programmi ad accesso condizionato (se mai ce ne saranno ancora) per cui occorre la specifica card.

televisione liquida

C’erano un tempo i cosiddetti ‘poli’ televisivi, quello della Rai e di Mediaset con un’offerta a cui poi si sono aggiunti i servizi a pagamento da Tele+, Stream e poi la rivoluzione Sky inizialmente solo via satellite. Con l’avvento dei televisori smart e innumerevoli funzioni tra cui anche parte di quelle da media player integrato (certo non allo stesso livello come per esempio la gestione diretta di ISO di DVD e BD) l’offerta nel corso del tempo si è decuplicata grazie alla rete con la presenza di canali ‘liquidi’ gratuiti ma anche a pagamento tra cui i noti Netflix, Rakuten, Amazon Prime, Infinity, Apple Tv. Un parco canali evoluto non solo in termini di quantità dell’offerta ma anche di qualità, dove rispetto ai primi programmi DGTV in HD a 1080 linee interlacciate c’è stata una evoluzione con programmi fruibili UHD 4K (con tanto di HDR-10 / Dolby Vision) mettendo a frutto il più avanzato sistema di codifica H.265 (rispetto all’MPEG-4), di cui peraltro tutti i nuovi decoder DVB-T2 devono essere provvisti.


La scommessa dell’etere in questo senso è notevole e potrebbe aprire nuovi scenari di fruizione di contenuti live e preregistrati sempre che i broadcaster decidano in tal senso, senza ritrovarsi a gestire la situazione con qualità audio/video al minimo sindacale come accaduto e ancora oggi accade per il DVB-T, dove a conti fatti sul territorio non c’è stata alcuna evoluzione qualitativa per le immagini e audio. Davvero troppo limitata l’offerta con i soliti canali 1080i e un palinsesto realmente in alta definizione che da sempre lascia il tempo che trova per offerta e resa tecnica. Quanto ai nuovi provider in rete il 2020 ha salutato lo sbarco in Italia del canale Disney+, visto da molti come il vero concorrente di Netflix, che come tanti altri fornitori di contenuti liquidi on demand ad abbonamento mensile ha visto crescere in misura notevole le sottoscrizioni.

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Elemento di non poco conto il fatto che l’offerta Disney+ non sia più da considerarsi solo squisitamente di casa Disney: con oltre trenta milioni di abbonati prima ancora di giungere in Europa, il canale offre molto più che i classici cartoni animati dopo acquisizioni miliardarie che ne hanno ingrossato le librerie di programmi aggiungendo Marvel, Lucasfilm e più recentemente 20th Century Fox. Non ultima l’inclusione anche del servizio streaming on demand statunitense Hulu, che potrebbe andare oltre i confini nordamericani a partire dall’anno prossimo e (forse) giungere anche da noi.

E dire che Netflix aveva iniziato noleggiando film e serie tv offrendo il servizio di recapito a casa dei DVD affittati, divenuto un colosso dell’intrattenimento e di fatto l’avversario da combattere con i suoi centosessantasette milioni di abbonati in giro per il mondo. Una potenza che non solo dispone di un vastissimo catalogo titoli ma la domanda si è elevata al punto da rendersi necessaria la produzione in proprio. Via quindi a serie esclusive come per esempio La casa di carta, Ash vs Evil Dead, Narcos e Stranger Things solo per citare le più note ma anche grande cinema con opere tra cui Roma di Alfonso Cuarón, The Irishman di Martin Scorsese, Annientamento di Alex Garland.

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Anche se trattasi di titoli di primissimo piano sempre meno sono quelli poi considerati per una proposta alternativa relativa al mercato sempre più di nicchia del disco fisico, sia esso DVD o Blu-ray. Un doloroso capitolo dove a fronte di emissioni di qualità in altri Paesi da noi le scelte sono sempre troppo maledettamente al risparmio: all’estero il Blu-ray e da noi il DVD (Ash contro Evil Dead), all’estero il Blu-ray 4K e da noi il Blu-ray 2K (Annientamento). Quando ci dice bene. Quanto alle tracce audio poi l’offerta italiana è sempre più miserrima.

Un periodo questo dove il carico di richieste verso i server Netflix così come per esempio quelli di YouTube è aumentato in misura esponenziale a causa del lockdown a cui sono obbligati milioni e milioni di individui. Si è giunti al punto da costringere la stessa Comunità Europea a chiedere alle aziende di abbassare la qualità tecnica massima, sospendendo temporaneamente la fruizione di materiale che impegni maggiormente la banda. Il solo bacino europeo conta qualcosa come quattrocentocinquanta milioni di individui e i rischi di sovraccarico in periodo di confinamento casalingo più che mai all’ordine del giorno.

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L’arrivo dell’offerta Disney sotto forma liquida è solo l’ultima tra tante e importanti che hanno rivoluzionato il modo di fruire l’intrattenimento di film, serie, animazione, documentari sempre e comunque attraverso il televisore, a cui magari andare esternamente a connettere anche una game console. Altro fronte caldo è infatti quello del gaming, dato che anche in tale ambito sono stati aperti servizi streaming con accessi a importanti portali da parte di Microsoft per gli utenti Xbox e di Sony Computer Electronic Entertainment per quelli Playstation. Centinaia di migliaia di partite in contemporanea, magari gestite anche agilmente dai potenti cloud-server aziendali ma che inevitabilmente contribuiscono a mettere in seria difficoltà le locali infrastrutture.

I numeri del traffico rete delle ultime settimane parlano chiaro: carico aumentato tra il 50 e il 70% non solo in download ma anche upload e invio di file anche a causa dell’effetto smart working. Le vie di comunicazione digitale c’erano già ma non erano preparate a una simile ‘piena digitale’, nessuno poteva prevedere picchi esponenziali nel giro di una manciata di pochi giorni. televisione liquida

L’iniziale data del primo gennaio 2020 per il secondo switch-off italiano è slittata in avanti ma ciò non significa che nulla si stia muovendo in tal senso. Qualche sparuta campagna di comunicazione già c’è stata, difficile dire se la massa se ne sia realmente accorta. Non solo informazione ma anche opportunità da cogliere attraverso i bonus per acquistare nuovi televisori o decoder da connettere al ‘vecchio’ tv, come al solito in un marasma di offerte e confusione quando si desidera aggiornarsi che nuoce al cambiamento e all’evoluzione. Inevitabile la scoperta da parte del consueto stuolo di ignari consumatori dei canali generalisti DGTV che un fatidico giorno realizzeranno di non essere più in grado di vedere alcunché dall’antenna sul tetto di casa. Sprovveduti a parte il vento del cambiamento dei ‘canali’ dell’intrattenimento televisivo passa inequivocabilmente per la banda larga, la broadband tv che significa fruizione attraverso servizi liquidi via rete, sia essa adsl o fibra ottica. Rispetto alle reti mobili un tempo era la poco performante 3G (384 kbps), poi si è passati al 3GH+ (42 Mbps), il 4K e la LTE ed LTE+ (326,5 Mbps in download e 86,4 Mbps in upload di base ma il download in LTE+ può teoricamente raggiungere i 500 Mbps) e col 5G si dovrebbe arrivare a superare un Gbit/sec (1000 Mbit/sec).

La previsione vede una crescita di programmi visionati sempre più tramite computer o device alternativi come smartphone e tablet. Secondo gli analisti lo scenario da qui a un paio di anni è quello che la quota dei fruitori di servizi on demand raggiungerà circa 1,5 miliardi di unità, numeri importanti come confermano quelli italiani dove la piazza digitale al momento vede un parco di consumatori pari a ventiquattro milioni di cui affiliati a servizi a pagamento poco meno di 8 milioni di unità. Il crescente carico di lavoro imporrà il necessario adeguamento delle infrastrutture per evitare collassi della rete nelle ripetute situazioni di picco, quando il programma del momento sarà fruibile solo in liquido e per un preciso bacino di abbonati, pirateria a parte.

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I palinsesti del digitale terrestre terranno sempre meno banco rispetto al passato, soffrono e soffriranno per la migrazione di grossa parte dei millennial e resteranno via di comunicazione primaria e unica verso i più ‘sofferenti’ per il digital divide, schiere di pensionati che non conoscono e/o non sono interessati ai potenziali dello streaming, che non hanno sottoscritto alcun abbonamento alla rete e non possono quindi fruire della broadband TV. Tra le conseguenze la parcellizzazione dell’offerta all’interno di molteplici apparati per il consumo che suggeriscono (quando addirittura non impongono) una certa interazione con lo spettatore, stimoli che giungeranno da ogni dove tra social network e cookies volti a indirizzare la pubblicità mirata in base alle preferenze.

“Se non puoi sconfiggerli alleati a loro” è il motto messo in atto già da tempo da parte di aziende importanti come Sky, che non smette di diversificare con offerte mirate a chi possiede la parabola o anche la più semplice fibra . Il colosso di Murdoch ha già integrato Netflix senza perdere d’occhio lo sport col canale Dazn, l’inclusione in toto dei cinquecentomila abbonati di Mediaset Premium e chissà che in seguito non cali un altro asso pigliatutto, ovvero stringere un accordo per almeno parte dell’offerta Disney.

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Tornando all’argomento principe DVBT il passaggio da analogico a digitale, la cui (sofferta) transizione risale al 2012 e appariva ai più come una necessità, lo si guardava come un passo avanti nel futuro e la popolazione non poteva certo immaginare che non fosse l’unico. Al momento non ci sono certezze su un ulteriore switch-off dopo quello che andrà a concludersi nel 2022 per il DVB-T2. Restano sul tappeto i dubbi su quanto potrebbe accadere in seguito, ovvero su ciò che potrebbe palesarsi come bisogno di trasferire l’intero comparto su banda larga, il che implicherà una rete di broadcaster a copertura mobile totale.

Risale a inizio 2017 l’obbligo di vendere unicamente televisori equipaggiati con ricevitore DVB-T2 e compatibilità codec video H.265 (HEVC). C’è la possibilità che avendo comunque acquistato un tv di brand tra i più noti anche prima di tale data si disponga della relativa compatibilità. Scoprire se il proprio apparato è pronto per lo switch-off del 2022 è piuttosto semplice: sul manuale di istruzioni alla voce sintonizzatore digitale deve essere presente la dicitura DVB-T2, ma se la documentazione non fosse presente si può sempre sintonizzare il tv sui due canali test di Rai (ch 100) o Mediaset (ch 200). Una volta giunti su uno di questi viene visualizzata la scritta “TEST HEVC MAIN10”, caso contrario significa che il ricevitore non è compatibile.

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Come per il primo switch-off la scelta è multipla: acquistare un nuovo televisore oppure investire una cifra inferiore sul tipico ricevitore esterno. Questa nuova rivoluzione tecnologica imposta ha ovviamente messo in allarme il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) il quale ha stimato che circa dieci milioni di televisori attualmente presenti nelle case degli italiani risulteranno obsoleti e non potranno ricevere il nuovo segnale digitale, figuriamoci lo streaming.

Occorrerà mettere di nuovo mano al portafogli, ricordando che al momento l’offerta per il solo decoder esterno DVB-T2 richiede un esborso variabile che va da circa trenta euro fino a qualche centinaio di euro. Alla stregua del primo switch-off anche qui il governo ha stanziato centocinquantuno milioni di euro di incentivi a partire dall’anno scorso e che dureranno fino al 2022, per favorire il passaggio e l’acquisto di nuovo hardware. Lo sconto previsto è di cinquanta euro da usufruire direttamente presso il negoziante, ma solo se il nucleo familiare di cui si è parte rientra nella fascia I o II ISEE.

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In ultima analisi il collo di bottiglia su cui rischia di impattare lo sviluppo della fruizione di programmi ‘liquidi’ in streaming resta la banda ultra larga. A causa degli effetti della pandemia in corso e della domanda sempre più elevata da parte di milioni di individui bloccati in casa potrebbe beneficiare di un’accelerazione attraverso la stesura di nuove reti, potenziamento delle infrastrutture in tempi decisamente più rapidi di quanto si potesse prospettare solo a gennaio di quest’anno.

Occorre velocizzare verso il futuro sempre più dietro l’angolo, perché la rete sta vivendo grandi cambiamenti e sviluppi con un’impennata proprio negli ultimi mesi, alterazioni negli stili di vita e lavorativi che potrebbero radicarsi e restare tali anche quando il nostro Paese sarà entrato nella “Fase II”, dove permarrà il distanziamento sociale ma si potrà guardare a un primo solido passo verso una ‘diversa normalità’.

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Che ciò accada nel giro di poco oppure occorrerà altro tempo in misura altrettanto rapida bisognerà adattare le autostrade digitali italiane per dare spazio a una domanda da parte della collettività che non farà altro che crescere e confermare il consumo di programmi dal televisore (e non solo), ma comunque non attraverso l’antenna sul tetto. L’offerta di contenuti sempre più ricchi e diversificati coinvolge le più disparate fasce di età, si consumeranno programmi sia dentro che fuori casa tramite qualsiasi terminale che offra accesso ai portali dei servizi (gratuiti con pubblicità) o a pagamento.

Vento di cambiamento che speriamo spingerà quel restante 25% di nuclei familiari italiani che ancora non hanno il Web in casa propria a convincersi che l’innovazione dell’intrattenimento domestico passa per una combinazione tra digitale terrestre e Internet. Offerta legale a prezzi che auspichiamo sempre più alla portata di chiunque, in giusta concorrenza tra loro senza eccessive egemonie di mercato da parte di poli industriali assoluti, al punto da rendere (pressoché) inutile l’esperienza pirata.

Per informazioni sulla copertura Internet in Italia: link al sito AGICOM per Broadband Map.

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