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Il sabato con Diego. L’interpretazione del concetto di Alta Fedeltà

L’Alta Fedeltà – dal punto di vista strettamente teorico – è il tentativo di emulare il più possibile la natura dell’evento sonoro attraverso la fedele riproduzione delle caratteristiche che lo connotano.

Un notevole passo avanti fu compiuto con la Stereofonia, concetto che tentava di rimediare a quello che sembrava il limite maggiore della riproduzione di allora – ovvero la spazialità dell’immagine – nozione nel tempo pesantemente sottoposta a numerose rivalutazioni poiché le cose non erano esattamente come si pensava, innovazione che ha consentito di aumentare in concreto il concetto di Alta Fedeltà.

Chi ha buona memoria delle più remote modalità di registrazione, avrà certamente presente la caratteristica disposizione degli strumenti che i vari tecnici del suono dell’epoca solevano attuare, laddove questi erano fermamente disposti a sinistra oppure a destra.

Prendendo ad esempio un classico trio jazz composto da pianoforte, contrabbasso e batteria, l’usuale dislocazione media prevedeva che dal diffusore sinistro provenisse il pianoforte, dal destro il contrabbasso mentre la batteria era percepibile su entrambi i canali.


Un sistema ritenuto logico, assai vicino a quella che era la disposizione live degli esecutori.

Peccato che questa “concentrazione” mutilasse in maniera evidente la prestazione sonora rendendo il suono scatolare ed eccessivamente confinato, l’esatto contrario di quello che succede ascoltando uno strumento che suona dal vivo, dove in tutta evidenza il suono si espande praticamente tutte le direzioni.

Oscar Peterson Trio

 

Erano gli albori dell’Alta Fedeltà, ragione per cui qualche incertezza dobbiamo necessariamente concederla a coloro che – pionieristicamente – ne hanno fatto la storia caratterizzando ciò che sarebbe venuto in seguito.

Col tempo qualcuno ha capito che tale assetto era sbagliato, innaturale appunto, in palese contrasto con quelli che erano i presupposti base dell’Hi-Fi.

Ed ecco che si è iniziato a considerare – studiandone accuratamente l’interazione – il contributo ambientale inteso come spazialità, come ricostruzione del palcoscenico virtuale e distribuzione sempre più corretta dei piani sonori, aspetto che ha aumentato notevolmente la profondità della relativa immagine aumentando al contempo l’attendibilità nei confronti dell’evento reale.

Qualunque appassionato è oramai a conoscenza dell’importanza dell’ambiente.

Lentamente si è poi iniziato a riprodurre la gamma audio in modo sempre più accurato ed energico, soprattutto le frequenze basse, hanno lentamente iniziato ad acquisire un connotato di potenza ed estensione che un tempo poteva esclusivamente essere sognato, ciò a causa dei limiti tecnici che impedivano il superamento di una data soglia qualitativa.

Infatti, coloro che da tempo si interessano di questo splendido hobby, si saranno resi conto che il livello cui l’Hi-Fi è giunta oggi è assai elevato – in termini assoluti tra l’altro – tanto che rintracciare un prodotto che suoni effettivamente male è pressoché impossibile.

Possiamo parlare di interpretazioni – questo certamente – qualcosa che definisce la filosofia del produttore rendendo gli specifici prodotti diversi (non necessariamente migliori) dagli altri, se non altro caratterizzati da un suono riconoscibile come appartenente al DNA di quell’azienda.

Un aspetto non troppo dissimile da ciò che un direttore d’orchestra mette in atto nell’esecuzione di una partitura, molte sono le interpretazioni possibili, alcune più filologiche di altre ma tutte vanno nella stessa direzione.

Chi sceglie un dato marchio non lo fa mai per caso, magari per censo ma non certo per caso, cosa che per determinati versi allude ad una personale ricerca di una data prestazione, eloquente segno che l’Hi-Fi è anche personalizzazione: a prescindere da tutto il resto il risultato deve piacere, punto.

Bassi, medi, alti, ciascuno ama un determinato bilanciamento, un soave equilibrio di frequenze che nel loro insieme caratterizzano la prestazione, agognato traguardo di qualunque appassionato.

Tra i Berliner Philarmoniker e l’Orchestre Nationale de Paris – tanto per citare due tra le più rappresentative compagini orchestrali – vi è una consistente differenza: più votata al corpo ed all’esplosione fonica la prima, più concentrata sul dettaglio la seconda, tanto da rendere in modo parecchio differente pagine sinfoniche come la Sinfonia Fantastica di Hector Berliotz, ascoltare per credere.

Come al solito, ottimi ascolti!!!

 

 

 

 

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