Se c’è una componente davvero determinante, indipendentemente dall’idea di suono che si vuole ottenere, quella è il pre. Lo diciamo per esperienza: fra le tante prove svolte, in particolare con sistemi d’alta fedeltà esigentissimi, la componente pre è sempre stata quella in grado di destabilizzare o di permettere il salto di livello. Perché tutto ciò? Dovessimo spiegare ad un neofita cosa fa e come lavora un preamplificatore, potremmo descriverlo come un ascensore. L’obiettivo: portare la nostra musica, scusate la tautologia, a livelli prima ignoti. Accompagnateci per questo piccolo viaggio: il viaggio di un appassionato audiofilo che prova emozioni nuove e scatenante mentre riascolta i suoi dischi preferiti… Ma in una maniera mai apprezzata prima.
Stupefacente. Senza parole. Contrasti di emozioni. Dubbi inspiegabili. Ma come abbiamo fatto ad ascoltare la nostra musica preferita con quell’aggeggio che non assomiglia neanche lontanamente ad un preamplificatore? In quanti ci siamo posti queste, ricorrenti, domande? In quanti siamo stati assillati dal dubbio di avere ascoltato sempre male, o al di sotto delle nostre possibilità prima di inserire nella nostra catena un pre veramente serioso? Magari con finali super e gran diffusori, tutti intubati da preampi sottodimensionati…
L’importanza di un corretto assetto audio per quanto riguarda la preamplificazione, infatti, dovrebbe essere considerata a priori dal momento che, questa macchina, a certi livelli (che, è bene sottolineare, sono quelli hi-fi/hi-end) potrà farci fare veramente il salto di livello nel trattamento del segnale. Sotto ad un certo livello, infatti, i preamplificatori sono spesso, un poco, tutti simili. La componentistica dei prodotti consumer, infatti, rispetta parametri piuttosto stereotipati ed è difficile trovare macchine, moderne, si intente, fuori dal coro sotto certe cifre, per quanto meritevolissimi in impianti mediani.
L’obiettivo, infatti, per molti di questi prodotti è garantire rese buone, ma soprattutto macchine iper-complete. Per molti, infatti, appare più saggio puntare su connettività e digitale che sugli apatici circuiti interni…
Peccato, perché quei circuitini, che non portano sigle e non si vedono, sono proprio quelli che fanno la differenza per il nostro suono… Una questione a parte per le valvole, le quali sanno concedere prestazioni sensibilmente più convincenti dei transistor senza svenarsi, o comunque già con prodotti abbordabili. Non c’è da stupirsi: le valvole, con la loro uscita ad alto voltaggio, il loro suono caloroso sono l’ideale per la preamplificazione, che non mostra i loro limiti quando si parla di dinamica.
Ma, cosa accade, quando ci si sposta di livello iniziando ad entrare nel mondo dell’hi-end dove il limite è il cielo?
Accade di tutto. Nel senso che il preamplificatore, se di alto livello, può letteralmente decostruire le nostre certezze sull’ascolto musicale. Può destabilizzarci a tal punto da rinnegare dischi che credevamo suonassero divinamente. Può farci scoprire pieghe nascoste in dischi che scarsamente consideravamo, ora elevati a tal punto da apparire come differenti registrazioni mai apprezzate prima.
Il preampli può letteralmente fare magie, sancendo differenze difficilmente replicabili per sorgenti e finali, oppure diffusori (ricordatevi che l’ambiente è un prerequisito scontato in un hi-fi che si possa definire ambizioso). Insomma, possiamo crescere finché vogliamo con sorgenti, liquida, cd o piatti, ma il valore aggiunto concesso dal preampli è unico ed è inscindibilmente legato alla condizione prima del suono: il trattamento analogico del segnale.
Trattare un segnale significa, innanzitutto, seguire un percorso diretto, senza supercazzole o controlli che andrebbero a danneggiare la precisa corsa del nostro segnale.
Il segnale dovrà essere un fuso, un pianeta ben ancorato alla sua direzione precostituita, ma senza rallentamenti o mutamenti nel suo peregrinare. Fidatevi: la componente unicamente analogica è ancora la stella da seguire quando si cerca un sistema definitivo ed appagante. Non zavorriamo la nostra preamplificazione con corbellerie inutili. Se possibile, restiamo su una macchina semplice e ad altissimo livello qualitativo ove serve: nei circuiti analogici.
Volendo proseguire in questa rassegna (consiglio da amico), valutate sempre con attenzione la componente bilanciata XLR.
Il bilanciato è una gran cosa per il pre, sapete? Può davvero fare la differenza, perché il segnale bilanciato, in una catena tutta, e per davvero, bilanciata, esce ad un voltaggio superiore. Cosa significa in soldoni? Che portiamo al nostro finale maggiore potenza in entrata e volume, fattore che, a ben vedere, ci garantisce un migliore rapporto segnale/rumore ed una dinamica di uscita più apprezzabile.
Cosa succede se, potrete chiedere, non tutta la catena è bilanciata? Questi benefici sono annullati e, anzi, diviene ben più consigliabile l’intramontabile RCA che, almeno, non ci condanna ad un inutile cambio di segnale in corso d’opera.
Che cosa fare di tutto ciò?
Non siamo qui per vendere nulla: il mercato è pieno di ottimi pre, anche se vanno pagati, giustamente, il loro valore. Ma, se consentite, cercate l’analogico, il bilanciato o comunque una macchina semplice, senza fronzoli e pura, come dovrebbe essere un preampli. Evitiamo grandi centrali dell’intrattenimento multiuso, utili a chi vuole preamplificare 20 sorgenti, ma non a chi vuole il suono più fedele e meglio trattato possibile.
Il ricordo di Nuthin Fancy dei Lynyrd o dei Jethro Tull di Wilson, mai uditi in tal maniera, ascoltati con un preampli di spessore dopo anni con un mezzo (non facciamo nomi) di certo non paragonabile per prestazioni, ci riporta all’attenzione l’urgenza di avere una macchina che sappia trattare il segnale in maniera pura e libera da limiti e zavorre.
Condividete con noi la vostra esperienza: siamo convinti che anche a molti di voi audiofili sarà successo di rimanere sbigottiti di fronte alla magnificenza ed alla plethora di un suono trattato come merita.