In qualunque contesto, la scelta di un prodotto richiede una serie di valutazioni tese a chiarire se questo sia adeguato alle nostre esigenze. Alcuni aspetti quali estetica e costo sono piuttosto evidenti, altri lo sono di meno, tutti richiedono comunque un’attenta valutazione poiché potrebbero avere un impatto notevole sul risultato finale. Quando si tratta di amplificatori, a parte i soliti aspetti, uno dei grandi assenti è spesso il fattore di smorzamento, elemento in grado potenzialmente di influire anche in modo notevole sul risultato finale.
Un tempo, l’acquisto di un prodotto passava per l’accurata lettura dei dépliant reperibili nei negozi, quella altrettanto accurata dei test pubblicati dalle varie riviste nonché dall’esame delle caratteristiche tecniche per poi, ove possibile, tentare un ascolto al fine di verificare le prestazioni, almeno in linea di massima.
I fattori presi in considerazione ai fini della scelta sono molteplici e variano in base alla tipologia di prodotto poiché, ovviamente, un fonorivelatore presenta caratteristiche differenti in confronto ad un lettore digitale, motivo per il quale ci si concentra su aspetti evidentemente diversi.
Parlando di amplificatori, solitamente si prendono in considerazione caratteristiche correlate alla specifica funzione – primariamente la potenza esprimibile e la tipologia, stato solido, valvole o ibridi vari – per poi (forse) andare a documentarsi su aspetti ritenuti secondari la cui importanza dovrebbe invece essere valutata molto attentamente.
Una di queste caratteristiche è il fattore di smorzamento, o damping factor per dirla alla maniera inglese.
Questo valore – indicato tramite un numero – fa riferimento al rapporto tra l’impedenza di uscita dell’amplificatore e quella di ingresso dei diffusori, qualcosa che ci informa sulla capacità dell’apparecchio di gestire un dato contesto, ovvero quello di tenere a freno le intemperanze dell’altoparlante, notoriamente gravato da una qual certa ineliminabile inerzia.
In altre parole, dopo essersi messa in moto a causa dello stimolo sonoro inviatogli, la membrana dovrebbe cessare immediatamente di muoversi al cessare dell’impulso, almeno in teoria. Chiaramente si tratta di pura utopia: sarebbe come pretendere che una vettura si arrestasse in un tempo zero dopo aver premuto il pedale del freno, sapete benissimo che l’auto percorrerà diversi metri prima di fermarsi.
Ebbene, la stessa cosa accade nell’interazione tra amplificatore e diffusore: la capacità del driver di fermarsi il prima possibile, risiede nella rapidità di intervento sul movimento indesiderato da parte del dispositivo di amplificazione.
Ed è qui che entra in ballo il fattore di smorzamento.
Al pari di un fonorivelatore a bobina mobile, dove il segnale è generato dal movimento di questa all’interno di un magnete, la bobina dell’altoparlante anch’essa immersa nel circuito magnetico, produce un segnale ogni qual volta si muove generando una forza contro elettromotrice (back EMF); un fattore di smorzamento più o meno elevato si oppone in modo, appunto, più o meno efficace a questa forza contrastandola.
Quale la sua importanza nell’economia generale di un sistema audio? Detta in maniera semplice, a seconda della tipologia di diffusore utilizzato – ovvero più o meno reattivo e sensibile al segnale che riceve – una migliore prestazione dal punto di vista sonoro.
Questo spiega, almeno in parte, il motivo del perché gli amplificatori a valvole – notoriamente dotati di un basso fattore di smorzamento – convivano spesso felicemente in unione a veloci diffusori a tromba le cui prestazioni potrebbero essere “irrigidite” da una gestione troppo ferma da parte dell’amplificatore.
Esattamente il contrario accade con diffusori paciosi e morbidoni – ovvero dotati di pesanti membrane poco disposte a smettere di vibrare velocemente – ed amplificatori dall’elevato fattore di smorzamento.
In conclusione – quando dichiarato – sarebbe ottima cosa tenere in considerazione questo dato il cui valore, laddove non si trovasse in sinergia con i diffusori, potrebbe influenzare anche pesantemente il risultato finale portando tra l’altro a conclusioni errate, ovvero all’attribuzione di un (falso) difetto ad un componente il cui comportamento è dovuto piuttosto ad un cattivo interfacciamento.
Come al solito, ottimi ascolti!!!
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