Il futuro è dei diffusori attivi! Vediamo perché, ancora una volta partendo da un po’ di storia dell’alta fedeltà.
Negli anni 80, in ambito domestico (parlo di questo perché nel professionale era già pratica molto comune) i diffusori attivi erano guardati con molto sospetto ed era difficilissimo venderli.
I motivi erano vari, i principali erano il costo elevato rispetto ad un equivalente passivo pilotato da un integrato economico e soprattutto perché “non si giocava più”!
In altre parole era molto limitata la possibilità di provare nuovi integrati, pre-finali, cambiare diffusori ecc.
Nei miei articoli precedenti citavo il caso del giradischi: le differenze (cioè le distorsioni del segnale originale) erano tanto evidenti, testina-braccio-giradischi-ingresso fono ecc., che si era sempre alla ricerca di qualche cosa di diverso pensando di migliorare l’impianto. Con i diffusori attivi si era un po’ bloccati.
Anche il costo, negli anni 80, era molto superiore ad un impianto con diffusori passivi considerato di pari livello. In realtà il diffusore attivo oggi è meno costoso di un impianto tradizionale con diffusori passivi!
Molti di voi avranno fatto l’esperienza nelle fiere specializzate di ascoltare dei piccoli diffusori (tipo bookshelf) suonare in modo assolutamente dignitoso, e migliore di tanti impianti più costosi ma che come risultato finale deludenti rispetto al budget totale. Qualcuno diceva: “e grazie, con quelle elettroniche costose…”
E qui veniamo al punto.
Uno dei pionieri dei diffusori attivi di quegli anni, e tuttora presente nel mercato, era Bob Stuart di Meridian.In una intervista del tempo spiegava, riferendosi alla M3, di grandezza simile al “must” di quel tempo, le Rogers LS3/5A : “con le mie M3, dove un amplificatore da 25 watts sul tweeter e uno da 75 watts sul woofer, per ottenere le stesse prestazioni con un sistema passivo, ci vorrebbero 300 watts per canale”. Questo perché tutta l’energia fornita dall’ amplificatore viene in gran parte assorbita dal crossover passivo e trasformata in calore, il resto va agli altoparlanti…
Ci sono diffusori importanti che hanno crossover passivi più grandi di un amplificatore!
Con un diffusore attivo invece, fornito di crossover elettronico gestito da un DSP, gli amplificatori singoli sono collegati direttamente al singolo altoparlante e con la porzione di frequenze a lui dedicate. Da qui la possibilità di far funzionare al meglio l’altoparlante e di utilizzare amplificatori più piccoli in termini di dimensioni e costi.
Parliamo qui di veri diffusori attivi, cioè forniti di crossover elettronico e amplificatori singoli per ogni altoparlante, a differenza dei cosiddetti diffusori “amplificati” dove uno dei due ha all’ interno un normale ampli stereo con crossover passivo, detto master, e il secondo diffusore passivo, detto slave, che prende il segnale dal primo, quindi l’alimentazione è solo sul master.
E veniamo all’oggi
Come accennavo nel mio report su Monaco 2018, c’è una chiara tendenza da parte di molti produttori ad avere in catalogo dei diffusori attivi. Sono convinto che questo fenomeno si diffonderà sempre di più.
I motivi sono molteplici:
- La volontà di avere meno prodotti ma di ottenere un risultato più che soddisfacente.
- La facilità di utilizzo.
- La certezza del risultato: non si deve più cercare “l’araba fenice” del perfetto abbinamento tra componenti.
- Ultimo ma non ultimo, e forse il più importante, se veramente vogliamo far prosperare questo mercato, le nuove generazioni cercano proprio questo, passare dalla facilità del cellulare, al piccolo diffusore bluetooth, al sistema che permetta di fare un vero salto di qualità, senza complicarsi la vita e senza svenarsi.
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