Secondo Davide Rossi, direttore generale di AIRES, il mercato dei retailer di elettronica specializzati non è così nero come lo si dipinge. Ma l’Italia ha un grosso problema con norme vetuste, che i colossi del web e dell’e-commerce riescono ad aggirare facendo concorrenza sleale…
Abbiamo interpellato Davide Rossi, direttore generale di AIRES -Associazione Italiana Retailer Elettrodomestici Specializzati- che riunisce le principali aziende e gruppi distributivi specializzati di elettrodomestici ed elettronica di consumo (e aderisce a Confcommercio Imprese per l’Italia), che parte con questa affermazione:
il mercato dei retailer di elettronica specializzati non è così nero come lo si dipinge, ma l’Italia, con le sue normative non adeguate ai meccanismi delle tecnologie online, rischia di trasformarsi nel paradiso di chi vuole operare scorrettamente.
Come leggiamo nei “Demoni”, nelle fasi di transizione sono le canaglie a prendere la scena; dobbiamo capire che non esistono più fasi statiche e di passaggio ma è necessario che le leggi siano adeguate a un mondo in velocissimo e continuo cambiamento.
Sono cronaca i numeri in rosso nel bilancio di MediaWorld, i numerosi punti vendita in chiusura di Trony, la concorrenza sempre più spietata del mercato online. Le GDO dell’elettronica di consumo non vivono un momento roseo: ci dica sullo stato di salute effettivo del mercato e perché gli affari vanno male. Managment con politiche commerciali miopi e poco lungimiranti… oppure?
In questo periodo si evince una crisi nel settore dei retailer specializzati di elettronica, almeno in parte dovuta alla crescita e alla competitività a livello di prezzi offerta dall’ e-commerce.
Analizzi i dati GFK relativi al 2017: -0,8% il mercato generale e -2% i rivenditori specializzati di elettronica di consumo ed elettrodomestici, un settore che vale ben 14 miliardi di Euro. A parità di fatturato o con una lieve decrescita, le aziende non riescono a fare utili.
Le cause? Un’accelerazione di fenomeni legati all’e-commerce che hanno portato a una corsa sfrenata e in alcuni casi suicida verso i fatturati, senza tener conto dei margini di guadagno su alcuni prodotti. Un atteggiamento obbligato: certi fatturati determinano il mantenimento di premi e la continuità di erogazione del credito da parte delle banche. Ci sono però anche altre imprese che non hanno questi problemi e proseguono il proprio percorso garantendo occupazione e remunerazione agli investitori.
Quali strategie si dovrebbero mettere in campo perché queste imprese superino le loro difficoltà?
Le scelte strategiche, commerciali e le nuove iniziative sono ovviamente lasciate alla visione e alla capacità delle singole imprese. Come AIRES abbiamo il dovere di spiegare che il settore non è sull’orlo del baratro: ci sono tante realtà che stanno crescendo e si stanno strutturando in maniera più forte e dinamica e tutte le imprese sono attive e presenti con sito, app, e-commerce oltre al negozio fisico, quindi la capacità comunicativa nei confronti del pubblico è ancora molto forte. Ci deve però essere una “par condicio” concorrenziale e legislativa legata al settore, senza la quale le aziende potrebbero continuare a farsi male.
Cosa ci dice del “protezionismo al contrario” che si applica nel nostro Paese: normative molto stringenti per chi investe e paga le tasse in Italia e invece liberalizzazione e “deregulation” per coloro che arrivano e operano dall’estero. Che fa la politica? E come si può invertire questa tendenza?
In AIRES abbiamo già idee molto chiare, stiamo pensando a una normativa “armonizzata” che comprenda sia il sottocosto del negozio fisico che quello in e-commerce. Ovviamente nessuno auspica che le dinamiche dei prezzi vengano imposte dalle leggi, ma si sta ipotizzando di impedire il sottocosto strutturale o sistematico, ovvero la scelta strategica a priori di fare il prezzo più basso sul mercato indipendentemente dal prezzo a cui si è acquistata la merce.
Un operatore che agisce in questo modo è come un autista che sceglie di guidare a fari spenti nella notte: non è tanto importante perché lo fa, ma bisogna guardare a quanti danni può fare oltre che a sé soprattutto agli altri.
Ora si compra di più in rete e con importi più elevati rispetto a qualche tempo fa…
L’online rappresenta il 15 – 18% del mercato. È una cifra fisiologica, ma potrà crescere a dismisura solo se sui canali online i prodotti continueranno a essere venduti sottocosto. I consumatori si recherebbero volentieri nei punti vendita anche per acquistare – questo ci dicono le ricerche e la passione che ancora vediamo per le novità esposte nei punti vendita – ma semplicemente sono spinti a non comprare in negozio dalla speranza di trovare on-line un “prezzo impossibile”.
Nella telefonia uno smartphone che ha un prezzo di cessione di 900€, a cui bisognerebbe aggiungere il 22% d’IVA, viene venduto online da società piccole, molto spesso unipersonali e sconosciute sempre a 900€. E’ inimmaginabile che Samsung e Apple facciano prezzi migliori a questi signori sconosciuti rispetto a grandi realtà presenti in tutta Europa che comprano milioni di pezzi di quel prodotto…
Come facciano questi operatori a fare questi prezzi è un mistero che stiamo approfondendo, potrebbe trattarsi di riciclaggio o evasione. E il fatto che il consumatore si fidi ad acquistare da questi soggetti perché li vede appoggiati a una piattaforma di marketplace famosa, che sostanzialmente garantisce per loro, è un altro fatto fuori discussione. Ci vorrebbe quindi un maggior controllo da parte di chi ospita questi operatori sulle proprie piattaforme.
Gli stessi meccanismi ci sono stati segnalati anche per prodotti di minor importo, come alcune edizioni di prodotti Home Video, che vengono venduti su alcuni marketplace a prezzi inferiori a quelli di acquisto da parte dei rivenditori ufficiali…
Ci sono molte analogie. Conosco bene il mondo dell’editoria audiovisiva, sono stato per diversi anni presidente di Univideo e allora il problema numero 1 era (e ancora è) la pirateria. Allora, l’escamotage di molti portali era di scaricare la responsabilità sugli utenti che usufruivano del servizio per caricare e diffondere illegalmente contenuti pirata. Questa responsabilità degli “over the top”, che avendo margini di guadagno derivati dall’abbonamento al servizio (spesso in hosting, cioè in pratica i file venivano ospitati dai loro server) sono da considerarsi conniventi al crimine.
Allo stesso modo con i Marketplace andrebbe definito un codice di condotta oppure individuare prerequisiti di accesso (garanzie) per i soggetti che vengono ospitati per vendere. L’imprenditoria rischia di non andare molto lontano in questo Paese se viene consentito a tutti di fare gli imprenditori. Perché? Basta avere un capitale versato di poche migliaia di Euro, far girare soldi in modo sospetto e poi sparire di punto in bianco una volta accumulato un grosso debito IVA.
Per promuovere il mercato italiano in particolare, quali strategie si possono adottare?
Noi abbiamo già visto una forte fuga dall’Italia del manifatturiero ed è una tendenza che dobbiamo cercare di arginare come “sistema Paese”, perché se si continua così converrà anche andare a fare i retailer dall’estero. Se fossi un’azienda che deve aprire il proprio sito e-commerce, perchè non aprire in Lussemburgo? Mi faccio pagare con la carta di credito sul mio conto in Lussemburgo, vendo in Europa e in Italia, sono italiano di testa ma lussemburghese di portafoglio. Questa è una condizione sulla quale la politica in Italia nel complesso e non solo per il nostro settore si deve interrogare.
E’ giusto che l’Italia si trasformi in un mercato privo di un sistema produttivo e distributivo? Dobbiamo fare in modo che si torni ad investire in Italia, che è un Paese ancora ricco di risorse e imprenditori sani e seri che devono essere tutelati. Gli esempi di aziende “storiche” del nostro settore che per decenni hanno generato lavoro, utili e si sono adeguate ai cambiamenti del mercato non mancano, ma devono essere adeguate anche le norme, poiché siano adeguate all’evolversi dei tempi.
Se il nostro Paese rimarrà con norme antiche e tecnologie moderne, nel periodo di transizione saranno sempre le “canaglie” a prendersi la scena. Un problema, che se non risolto, rischia di coinvolgere sempre più settori economici …
Quali i più a rischio?
Il nostro lo considero quasi come un laboratorio di ciò che succederà a breve ad altri settori: penso alla moda, ai preziosi, all’orologeria e anche… al turismo. Perché, quello dell’elettronica, è un prodotto internazionale e omologato quindi siamo la prima linea di qualcosa che deve cambiare.
Qualche settimana fa si sono svolti gli Univision Days all’interno della fiera Cartoomics: una serie di incontri in cui esponenti dell’ Home Video come Univideo, le principali Major (Warner, Disney, Universal), produttori e distributori minori e indipendenti si sono confrontati e hanno analizzato i problemi del mercato, in contrazione specialmente sul versante del supporto fisico (Blu-ray, DVD ecc.). Il suo è stato un intervento propositivo per cercare di dare una scossa al mercato …
Da decano del settore Home Video mi sento di dare un consiglio ai colleghi più giovani: io vedo una possibile alleanza tra produttori di televisori e produttori di supporti home video, soprattutto quelli di qualità più elevata, perché vi è concomitanza di interessi. Il segmento TV è in sofferenza da tanti anni e purtroppo quest’anno non avremo nemmeno gli effetti positivi dei Mondiali di calcio, vista la mancata qualificazione della Nazionale italiana. A questo si aggiungono anche le incertezze legate al passaggio al digitale terrestre 2 (a maggio dovrebbe arrivare la roadmap con le tempistiche, ma vista l’incertezza politica del momento non è affatto scontato).
Quindi cosa propone?
Il mondo dei TV di alto livello quindi, essendo ancora poche le trasmissioni qualitativamente all’altezza, potrebbe incentivare i propri clienti fornendo film ad altissima qualità su supporto fisico, magari con una formula “ad abbonamento”, mandando direttamente a casa dell’acquirente un disco al mese per un periodo di 6 mesi o un anno. Questo aiuterebbe non solo il produttore dell’hardware, che offre un servizio in più e genera interesse, ma abituerebbe di nuovo il consumatore ad utilizzare questi supporti. In molti si sono dimenticati che una cosa è vedere un film su Blu-ray ad altissima qualità, altra è vederli in… streaming.
Per concludere, ci dia una soluzione per invertire la rotta…
Per il settore dell’elettronica di consumo in generale non sono in grado di dare suggerimenti e sarebbe da parte mia una invasione di campo nei confronti delle imprese associate alla Aires che mi hanno affidato un incarico tecnico su temi regolamentari e legislativi. Spetterà al presidente Scozzoli, che ha iniziato il 5 Aprile il proprio mandato, indicare la linea strategica.
Mi permetto però, da ex, di esprimermi sull’home entertainment. A quel settore basterebbe poco: modificare le attitudini di poche decine di migliaia di italiani per far tornare il segno positivo a quelle imprese. Non parliamo di milioni di persone da far ritornare a comprare quei prodotti.
Se solo 100.000 famiglie (su le oltre 20 Milioni in Italia) si riavvicinassero al DVD e Blu Ray assisteremmo a una totale inversione di rotta. Il prodotto c’è, le intelligenze non mancano, servono un po’ di motivazione, e di investimenti. In questa ottica raccomando all’Univideo di guardare alla distribuzione e a Confcommercio come la propria casa, nella quale lavorare insieme e per il rilancio possibile che penso si possa attuare.
Intervista a cura di Pietro Battanta
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