Che cos’è il Dolby Atmos? Come lo si può impiegare? Tutto quello che occorre sapere sul nuovo formato sonoro disponibile sia per le sale cinema sia per le case.
Per poter comrendere il Dolby Atmos occorre fare qualche passo indietro. Nello sviluppo del sonoro per le applicazioni cinematografiche, storicamente, abbiamo assistito ad un’evoluzione tecnologica progressiva il cui scopo principale è sempre stato quello di avvicinare quanto più possibile la resa sonora dei film alla realtà.
Per realizzare questo si è passati da un audio monofonico degli albori, ad uno stereo fino al multicanale 5.1 introdotto dalla Dolby con il formato Dolby Digital nei primi anni ’90. Fondamentalmente ogni passo avanti si è ottenuto aggiungendo canali (ovvero direzionalità) al sonoro, in modo da aumentare la localizzazione dei suoni e dare sempre più l’illusione allo spettatore di essere “avvolto” da ciò che avviene sullo schermo. Di pari passo naturalmente, visto l’aumentare progressivo dei canali (e quindi della mole di dati da memorizzare sui supporti), sono state sviluppate soluzioni tecniche di storage e compressione tali da rendere possibile la distribuzione e riproduzione dei nuovi contenuti.
Spesso il tipo di supporto in uso è stato il limite principale alla possibilità di espandere il fronte sonoro; un tipico esempio è la pellicola, ove occorreva intervenire massicciamente sulla compressione per riuscire ad alloggiare la colonna sonora nell’esiguo spazio a disposizione. In alcuni casi, come per la codifica Dolby 5.1 EX, è stato possibile aggiungere un canale posteriore sfruttando algoritmi matriciali, con le dovute limitazioni naturalmente. Altri player del mercato invece, come la DTS, hanno aggirato il problema stoccando il sonoro su supporto esterno (CD-ROM), lasciando sulla pellicola solo una traccia timecode per la sua sincronizzazione. Questo ha reso loro possibile produrre colonne sonore di qualità maggiore e con canali discreti.
L’avvento del digitale
Un punto di svolta è stato rappresentato dall’introduzione della proiezione digitale, la cui peculiarità di contenuti completamente immagazzinati in file dentro un server ha di fatto rimosso la limitazione esistente sul numero massimo di canali gestibili nonché la necessità di compressione dei dati (ora disponibili in PCM, quindi a qualità massima). Il primo formato sonoro nato da questa nuova possibilità è stato il Dolby Surround 7.1, in cui ai 5.1 canali standard (già disponibili, seppur compressi con algoritmo lossy, nel dolby digital), vengono aggiunti due canali posteriori indipendenti (Left & Right Rear Surround, nell’immagine sotto). Il risultato è la possibilità di avere un nuovo mix sonoro che di fatto “completa” la localizzazione spaziale tutto intorno allo spettatore. Molti film attuali vengono mixati e distribuiti anche in 7.1, per poter esser così riprodotti nelle sale equipaggiate.
Nascita del Dolby Atmos
La domanda che sorge a questo punto è: quale potrà mai essere lo step successivo nell’evoluzione dell’audio? Facilmente si intuisce che esistono ancora dimensioni non coperte dall’attuale configurazione audio, una su tutte quella dell’altezza, per cui sarebbe logico aspettarsi un’ulteriore estensione dei canali disponibili aggiungendo magari qualche fila di surround installati a soffitto.
Questa è, in effetti, una delle novità introdotte dalla Dolby con il nuovo formato Atmos, anche se non propriamente la principale. Ciò che cambia radicalmente è il modo di gestire il sonoro. Se infatti nei soliti mix 5.1 o 7.1 ciascun canale è costituito da un file sonoro separato, nel sistema Dolby Atmos si è introdotto il concetto di gestione sonora ad oggetti (o objects). In pratica si considera la colonna sonora come composta di una parte embedded (un normale mix 5.1 o 7.1 a canali separati) e di diverse parti objects. Gli objects sono dettagli sonori del mix (un aereo, un dialogo, un rumore) che non vengono mixati nei canali standard ma risultano identificati con metadati particolari, i quali identificano la posizione dell’oggetto nella scena sonora e il suo eventuale spostamento all’interno della stessa. Durante la riproduzione, mentre il contenuto embedded viene riprodotto normalmente, l’oggetto viene elaborato dal decoder Dolby Atmos, il quale in base al posizionamento dello stesso, provvede ad attivare e pilotare solo ed esclusivamente i diffusori coinvolti.
Installazioni cinematografiche Dolby Atmos
Dal punto di vista dell’installazione, le specifiche Dolby Atmos oltre ad introdurre due array di diffusori a soffitto, prevedono anche un aumento nel numero dei diffusori surround (laterali e posteriori) e l’inserimento di due subwoofer laterali di rinforzo. Questo viene fatto per aumentare al massimo il livello di localizzazione sonora. Il funzionamento del sistema, infatti, prevede che ogni diffusore possa essere pilotato singolarmente, a differenza degli array surround del 5.1/7.1 ove i diffusori lavorano sempre tutti insieme pilotati dallo stesso segnale.
L’indipendenza di ogni singolo diffusore, unita all’incremento di copertura spaziale e alla gestione dinamica degli oggetti rende, di fatto, la localizzazione del suono estremamente precisa. Il sistema è inoltre progettato per essere scalabile, nel senso che in funzione delle dimensioni della sala e quindi del diverso numero di diffusori installati o installabili, il decoder ha la possibilità di adattare la distribuzione del suono di conseguenza.
Dal punto di vista hardware l’installazione cinematografica del Dolby Atmos è particolarmente impegnativa. Oltre all’elevato numero di diffusori richiesti, cosa che implica un considerevole lavoro in sede di taratura ed equalizzazione, va ricordato che, essendo ognuno di essi indipendente dagli altri per segnale e potenza, sono necessari altrettanti amplificatori finali per garantire un corretto funzionamento. Le specifiche ufficiali consentono di arrivare fino ad un massimo di 64 diffusori, ragion per cui si potranno avere fino a 64 finali di potenza installati nel rack di amplificazione. Va da se che la spesa per convertire un impianto audio a Dolby Atmos non è propriamente contenuta; secondo una valutazione fornita da Cinemeccanica, per una sala di medie dimensioni (quindi sui 300 posti), si spendono circa centomila euro.
Contenuti con audio Dolby Atmos
Dal 2012, anno di introduzione della codifica, molti film vengono mixati nativamente in Dolby Atmos, diversi anche in italiano. Le sale equipaggiate in tal senso hanno avuto un buon incremento globale, anche nel nostro paese (citiamo IMG Cinema a Mestre, il circuito ex ISENS dell’UCI e Arcadia a Melzo tra i primi ad effettuare l’update). Tutti i maggiori blockbuster della Disney (i film Pixar e Marvel), Warner (i film DC Comics), Fox (Independence Day Resurgence, The Martian) e Universal (Jason Bourne, Lucy, Hunger Games) godono di una distribuzione Atmos anche su territorio italiano. Il primo distributore italiano a farne uso è stata Medusa, che ha mixato e distribuito con la nuova codifica Youth di Paolo Sorrentino.
La codifica Dolby Atmos nei sistemi Home Theather
La codifica ad oggetti sviluppata per il cinema è prontamente approdata anche negli home theater domestici, seppure con alcune limitazioni dovute al tipo di ambiente. Escluso infatti a priori che si possano installare 64 diffusori in casa, il concept Dolby Atmos domestico prevede un massimo di 11 diffusori, più 2 eventuali subwoofer. Il sistema mantiene la caratteristica originaria di essere scalabile, ragion per cui non è necessario installare tutti e 11 i diffusori richiesti; il sistema è in grado di processare il sonoro adattandolo ai canali che si hanno realmente a disposizione.
Per convenzione si usa identificare il tipo di configurazione domestica con tre numeri separati da un punto. Il primo identifica il numero totale dei diffusori a pavimento escluso il subwoofer (quindi centrale, frontali, surround ed eventuali back surround), il secondo identifica il numero di subwoofer, il terzo quanti diffusori sono installati a soffitto. Si potranno avere così :
5.1.2 : configurazione tipica 5.1, con in aggiunta due diffusori a soffitto
5.1.4 : configurazione tipica 5.1, con in aggiunta quattro diffusori a soffitto
7.1.2 : configurazione 7.1, con in aggiunta due diffusori a soffitto
7.1.4 : configurazione 7.1, con in aggiunta quattro diffusori a soffitto
Un sistema scalabile
Nota interessante è che il sistema può funzionare anche senza la presenza di diffusori a soffitto. Essendo scalabile il processore si occuperà di ridistribuire il sonoro tra i diffusori canonici. La localizzazione offerta dalla codifica sarà ovviamente meno efficace, tuttavia la precisione del suono rispetto una codifica 5.1/7.1 standard ne risulterà comunque aumentata grazie al sistema di posizionamento dinamico offerto dall’hardware. Un compromesso offerto dai produttori di diffusori domestici, per coloro i quali non vogliano rinunciare ai diffusori a soffitto pur non potendoli installare fisicamente, è l’utilizzo dei sistemi Dolby Atmos enabled. Si tratta in pratica di casse direzionali, da posizionare sopra i canali front (o anche integrati negli stessi), che sfruttando la riflessione del sonoro sul soffitto, offrono un suono di rimbalzo come se provenisse nativamente dall’alto. Dalle prove effettuate il risultato è buono anche se non propriamente all’altezza di un’installazione fisica.
Tutte le principali caratteristiche e i vincoli di installazione da rispettare per ottenere la resa massima dal proprio impianto Atmos domestico sono consultabili nella pagina dedicata del sito Dolby.
Per godere della codifica Atmos anche tra le mura di casa è necessario dotarsi (oltre che di una delle configurazioni appena esposte), di un processore/sintoamplificatore compatibile con Dolby Atmos (tutti i maggiori produttori hanno già a catalogo macchine certificate), che supporti ovviamente la configurazione selezionata e di un player adatto (tipicamente un Blu-ray o uno dei nuovi Blu-ray 4K).
Le tracce audio Dolby Atmos sono disponibili (praticamente solo in inglese purtroppo) su molti Blu-ray 2K e 4K. Esse constano di una traccia di base in Dolby TrueHD (o Dolby Digital Plus), 5.1 o 7.1, che costituisce la parte “embedded” del sonoro. Gli objects sono dispersi nella traccia convenzionale, essendo identificabili attraverso metadati inseriti nel flusso. Questo garantisce sia la piena retrocompatibilità del sonoro con decoder non equipaggiati, sia la piena compatibilità con il formato di un qualsiasi Blu-ray player. È infatti sufficiente settare in bitstream l’uscita HDMI di qualsiasi lettore, perché esso trasferisca la traccia Atmos al decoder preposto.
La proposta della concorrenza : DTS:X
La gestione ad oggetti del sonoro non è una novità introdotta dalla Dolby, esiste già ed è applicata in campo videoludico da svariato tempo. L’applicazione “massiva” della stessa al sonoro cinematografico unita all’arricchita configurazione di diffusori “indipendenti” è la vera innovazione che questa nuova codifica ha portato.
Il mercato non è rimasto a guardare naturalmente, tanto che DTS, storico competitor di Dolby, ha voluto proporre una sua versione di audio object based. La codifica, chiamata DTS:X, ha la peculiarità di poter sfruttare diffusori disposti in modo completamente customizzabile (quindi non con un posizionamento rigido come quello Atmos), essendo l’algoritmo in grado di processare il suono di conseguenza. Per spingere ulteriormente il proprio codec, DTS ha reso disponibile gratuitamente il software di mix MDO, rendendo di fatto free of charge l’authoring di colonne in DTS:X.
Purtroppo per DTS, Dolby ha già provveduto a stringere accordi vincolanti, sia con le major sia con gli esercenti, assicurandosi così un parco installato ampio e un buon bacino di utilizzatori. La stessa flessibilità nell’ottenere audio Dolby e/o DTS partendo da uno stesso mix, routine quando si parli di sonoro 5.1/7.1, è di fatto impedita per le colonne object based. Per ottenere una colonna Atmos, sia essa per cinema che per home theater, si necessita di partire da un mix ottenuto con software proprietario Dolby; non esiste pertanto possibilità di generare audio Atmos da un mix DTS:X e viceversa. Almeno per il momento. Questo implica che qualsiasi film distribuito in Atmos per il cinema, avrà sempre e comunque una colonna Atmos anche per l’home theater. Ovviamente a meno di non rifare l’intero mix con il software DTS, il che, pur essendo lo strumento gratuito, comporta sempre costi di lavorazione non indifferenti. Questo è il principale motivo per cui le colonne DTS:X sono poche e, in genere, ottenute per remix di sonori originariamente non object based.
Per quanto riguarda l’utilizzo in ambito home theater, DTS:X ha caratteristiche analoghe ad Atmos, essendo il proprio flusso incapsulato entro una classica traccia DTS-HD Master Audio (o anche DTS-HR). Dal lato hardware, necessita di un processore/sintoamplificatore compatibile (quasi tutte le macchine offerte con processore Dolby Atmos sono anche aggiornabili via firmware al DTS:X) e può sfruttare le stesse configurazioni di diffusori già esaminate per Atmos.
Altre codifiche “object based” : Auro 3D
Esiste un’altra codifica per il cinema basata sulla gestione ad oggetti: Auro 3D. È stata la prima ad essere introdotta, nel 2005, sebbene non abbia riscontrato molta diffusione nelle sale (e nemmeno nei sistemi domestici). Il setup si basa su una configurazione di 11.1 diffusori, in cui ad un normale setup 5.1 vengono aggiunti omologhi diffusori per introdurre la dimensione “in altezza”. Viene parimenti aggiunto un canale a soffitto (definito Voice of God) per completare la localizzazione sonora superiore. Alcuni sintoamplificatori (come i Denon) offrono la possibilità di supportare questa codifica tramite un upgrade firmware a pagamento. Va da sé che il sistema soffre la mancanza di software che lo supporti (almeno in campo cinematografico).
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