Piacevolezza d’ascolto e fedeltà sonora sono due concetti che è bene saper discernere per evitare di incorrere nell’errore di molti nel costruire il proprio impianto audio: compensare le carenze di alcuni componenti applicando la “politica del cerotto”.
Chi ha letto i miei articoli precedenti, si sarà reso conto che prediligo la filosofia della “riproduzione fedele del suono originale”. Questo vuol dire anche che non sempre il risultato che si ottiene è piacevole, musicale, rilassante (aggiungete voi gli aggettivi che preferite).
Se la registrazione originale è ottima, il risultato finale sarà parimenti ottimo. Se invece la registrazione è caricata sulle basse frequenze, compressa nella dinamica, esasperata nella separazione dei canali o sulle alte frequenze per dare una sensazione di maggiore “dettaglio”, l’impianto fedele -e sottolineo fedele- cioè vicino il più possibile all’informazione presente nel supporto (fisico, liquido o in streaming) deve necessariamente mettere in evidenza questi difetti.
Facciamo un esempio automobilistico per esplicitare questo concetto: prendiamo in considerazione una spider di vecchia scuola inglese, tipo MG e, per restare in Inghilterra, una grande Bentley.
Orbene, qual è il comportamento di queste due vetture? Esattamente l’opposto l’una dell’altra. La spider, con sospensioni quasi inesistenti, vi farà “sentire” ogni più piccola asperità della strada. L’ammiraglia Bentley invece, quasi “volando” sopra la strada, grazie a sofisticate sospensioni, assorbirà ogni più piccola asperità del manto stradale, facendovi viaggiare sempre ad un livello confortevole.
Ovviamente la strada è uguale per ambedue le vetture, ma la sensazione che si proverà viaggiando su una vettura o sull’altra, sarà completamente diversa. La spider “traccia” la strada esattamente come è, tenendovi incollati ad essa e facendovi sentire tutte le caratteristiche del percorso. L’ammiraglia invece, quasi sospesa e “distaccata” dal percorso, vi manterrà sempre in una posizione confortevole e rilassante, indipendentemente dalle caratteristiche della strada.
Tradotto il tutto in termini di riproduzione del suono, vuol dire che più l’impianto è discriminante e quindi fedele all’originale, tanto più distinguerà le buone registrazioni dalle cattive, e quelle buone saranno veramente spettacolari.
Quanto più invece l’impianto “assorbe” le differenze, meno saremo in grado di distinguere una buona registrazione da un’altra, tutto invece sarà omogeneo, piacevole forse, ma sicuramente meno coinvolgente.
Se sono riuscito a spiegare fino a qui la differenza tra i due modi di intendere la riproduzione del suono, passiamo ad analizzare quello che io chiamo la “politica del cerotto”.
La politica del cerotto
Nell’era dell’analogico e del disco nero (per alcuni parliamo di dinosauri, per altri di seconda giovinezza, ma non è questo l’articolo per dibattere l’argomento), c’era in Inghilterra un riferimento per giudicare tutti gli altri impianti da parte delle riviste di settore : l’accoppiata giradischi Linn e le elettroniche Naim.
A scanso di equivoci (non volendo irritare nessun felice possessore di tali prodotti), preciso che prendo questi due marchi solo come esempio per spiegare cosa intendo per “politica del cerotto”. Infatti, tutti all’epoca riconoscevano a questa accoppiata un qualcosa di “magico”. Oggi si direbbe sinergico. Qual’era allora il segreto di questa accoppiata, che non funzionava ugualmente bene se il giradischi Linn era unito ad altre elettroniche, e viceversa i Naim non suonavano così bene se accoppiati ad un altro giradischi?
La risposta sta nelle caratteristiche del giradischi Linn, che aveva una particolare enfatizzazione di alcune frequenze basse che venivano linearizzate da una particolare e specifica curva di risposta RIAA* dell’ingresso phono del preamplificatore Naim. Se invece il giradischi Linn veniva usato con altre elettroniche, risultava ricco di basse frequenze, mentre il Naim da solo, povero di basse frequenze.
*la curva RIAA è l’equalizzazione inversa delle frequenze che avviene nel preamplificatore phono per compensare la riduzione delle basse frequenze e l’amplificazione delle alte frequenze che si applica in fase di incisione di un disco LP, altrimenti dovremmo avere dei solchi larghissimi per le basse e strettissimi per le alte frequenze; applicando questa tecnica, i solchi diventano più omogenei e la stampa del disco è più sicura.
Ho citato questi due marchi perché sono famosi e conosciuti (per chi da qualche anno segue il mondo HiFi), ma potrei fare decine di altri esempi per spiegare lo stesso concetto: applicare una correzione inversa per avere un risultato finale lineare, cioè accurato e vicino il più possibile al suono originale. Accoppiare un preamplificatore a valvole “dolce” con un finale a transistor “aggressivo”. Usare cavi per diffusori con scatolotti che filtrano le alte frequenze, se si pensa di avere un diffusore troppo brillante. Usare un finale valvolare ricco di basse frequenze e carente sulle alte ed accoppiarlo ad un mini diffusore per farlo sembrare all’ascolto più grande di quello che è.
Come si vede, esempi se ne possono fare tanti. Si può anche pensare che “la ricerca del Santo Graal” della perfetta riproduzione del suono, sia l’essenza stessa di questo magnifico hobby.
Personalmente, credo che la ricerca sia la base e la linfa vitale dell’avanzamento della qualità. Dove invece non mi trovo per niente d’accordo è sul pensare di risolvere una mancanza dell’impianto (cioè distorsione), applicandone un’altra di segno opposto. Il risultato è un suono doppiamente distorto, può andare bene in alcune situazioni, ma non è certo il suono originale.
I lettori meno giovani sanno benissimo a cosa mi riferisco. Quanti accoppiamenti abbiamo provato, quanti cerotti abbiamo applicato per arrivare ad un suono che ci soddisfacesse? Il continuo cambiamento delle apparecchiature, di per sé singolarmente magari ottime, senza trovare il “giusto suono” è la dimostrazione che il metodo non funziona.
Spesso si confonde il semplice cambiamento con un miglioramento, mentre in realtà si è introdotta solo un’altra variazione. Ricordo che tutto quello che si allontana dal segnale originale è distorsione, anche se apparentemente ci appare più piacevole o musicale.
Dove è nata e si è sviluppata, fino a livelli eccessivi, questa ricerca spasmodica del “suono assoluto”? Senza scomodare i guru americani (da Gordon Holt a Harry Pearson ecc.) ma restando con i piedi per terra, credo che la punta massima la si sia raggiunta con il disco in vinile negli anni recenti. Tutti riconoscevano le variazioni di suono tra un giradischi ed un altro, tra una testina ed un braccio, tra un ingresso phono ed un altro. Le variazioni c’erano e anche importanti, ma solo perché la deviazione dal suono originale (= distorsione) era considerevole.
L’interazione meccanica tra braccio e testina, tra questi e la base del giradischi, tra il segnale che proveniva dal giradischi e l’equalizzazione RIAA del preamplificatore phono, introducevano delle variabili ampie e facilmente riconoscibili. Ricordo sull’argomento, un’intervista di Bob Stuart di Meridian, nella quale sosteneva che il motivo per cui si era messo a studiare e migliorare il lettore Compact Disc, era la necessità, per lui progettista di elettroniche e diffusori, di avere un riferimento certo e non variabile come il giradischi.
Altre variabili che si aggiungono sono l’interazione tra il finale di potenza ed il crossover dei diffusori, la capacità cioè dello stadio di uscita dell’amplificatore di pilotare correttamente il sistema diffusori.
Esempio classico: amplificatore giapponese con protezioni poste a 6 ohm (limite sotto il quale non eroga più potenza o quasi) accoppiato a diffusori statunitensi che scendono fino a 1,3 ohm. E’ chiaro che il risultato non sarà “musicale”.
Piccolo aneddoto: richiesto del perché non facessero amplificatori in grado di erogare potenza fino ad 1 ohm, l’ingegnere giapponese rispose che loro “non costruiscono motori per automobili con le ruote quadrate!” Oggi questi due estremi non si raggiungono più, ma l’esempio serve a spiegare in quali condizioni si cercava di costruire gli impianti HiFi.
Come stabilire quando un impianto riproduce fedelmente il segnale originale?
Prima di rispondere occorre storicizzare il fenomeno, cioè stabilire un prima e un dopo. Il prima è rappresentato dall’analogico, il dopo è il digitale.
Quello che è avvenuto con l’introduzione del Compact Disc (al di là del giudizio che se ne può dare sulla sua intrinseca qualità), è stato l’inizio della digitalizzazione di tutto quello che riguarda l’intrattenimento domestico, dalla sorgente fino alla riproduzione delle immagini (cinema digitale, fotografia digitale ecc.) passando attraverso l’amplificazione, con le numerose e diverse proposte di amplificazione digitale.
Si può dire che il digitale ha democratizzato gli impianti di riproduzione audio-video, fornendo uno standard minimo di base decisamente superiore a quello che si poteva ottenere nel mondo analogico.
Qual’è dunque il modo corretto, post-anni 2000, di costruire un impianto audio-video in grado di riprodurre il messaggio originale fedelmente e accuratamente?
Molti costruttori cercano di venire incontro al consumatore nella scelta dei dispositivi proponendo un catalogo completo dalla sorgente ai diffusori, ma ci sono dei princìpi che possono guidarci e aiutarci a scegliere tra prodotti di più marchi con cognizione di causa…
Lo vedremo in un prossimo articolo: Il metodo è stabilire la giusta gerarchia dell’impianto.
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