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DCI-P3 – Perché è lo spazio colore di riferimento dell’UHD

Cosa significa spazio colore DCI-P3, gamut e perché occorre uno schermo 10 bit nativi per il massimo della fedeltà cromatica in UHD

La presenza di segnali video UHD tra materiale preregistrato Blu-ray e offerta streaming ha consentito il miglioramento del contenuto delle immagini rispetto all’alta definizione Full HD cui siamo abituati almeno a partire dal 2008, quando la RAI iniziò le trasmissioni in alta definizione sul digitale terrestre.

I primi concreti esperimenti in questo ambito in realtà risalgono addirittura a metà degli anni ’80, quando sempre la RAI partecipò alla prima produzione a risoluzione video doppia (1125 linee interlacciate a 50 Hz) rispetto allo standard televisivo PAL, in quell’occasione per il film Giulia & Giulia di Peter Del Monte. L’avvento dell’Ultra High Definition, 4 volte il Full HD, non ha solo aumentato il volume di informazioni per singolo frame, perché non si tratta unicamente di numero di pixel ma anche di gamma dinamica (il noto HDR – High Dynamic Range) e gamma cromatica. Quest’ultima è l’oggetto di questo approfondimento, ovvero lo spazio colore DCI-P3, divenuto fondamentale in presenza di segnali video UHD e certo in grado di offrire un’estensione colore superiore al Rec.709.

DCI-P3

Di fatto il “gamut” di un dispositivo di visualizzazione è l’insieme dei colori che riesce a riprodurre a partire dai tre primari (rosso, verde e blu) e i secondari (giallo, ciano e magenta). È il 1931 l’anno in cui si iniziò seriamente a comprendere tramite rilevazione statistica quali colori l’occhio umano fosse in grado di cogliere, stabilendo una relazione tra le lunghezze d’onda nello spettro del visibile e i colori percepibili dalla visione umana.


Lo spettro visibile rispetto al resto delle lunghezze d’onda

Lo studio fu condotto dalla International Commission on Illumination (CIE), da cui appunto deriva il diagramma a “pinna di squalo” CIE 1931 (CIE XYZ) cui si fa ancora oggi riferimento. Anche se erano gli anni ’30 il livello di precisione dello studio era già molto elevato, giungendo a un diagramma ulteriormente più preciso nel 1976 (CIE 1976) capace di rappresentare una spaziatura dei colori più uniforme in termini di luminanza (misura per descrivere la luminosità percepita di un colore, ovvero quanto brillante il colore di una superficie riflessa).

DCI-P3

Uno spazio colore diventa quindi uno standard che definisce una specifica gamma cromatica che una data tecnologia può visualizzare, a partire dai fondamentali rosso, verde e blu, inseriti all’interno dello spazio CIE XYZ completo.

Lo spazio all’interno dell’intero spazio CIE XYZ coperto da tali valori è chiamato gamma, e rispetto a ciò che l’occhio umano può vedere nessuno dei tre primari è in grado di coprirne il 100%. Qualsiasi applicazione basata sulle immagini necessita di una specifica e ben definita gamma cromatica per riprodurre nel modo più accurato possibile i colori in essa contenuti.

DCI-P3Nel corso del tempo ciò ha dato origine a diverse gamme standard di colori, in genere basate su ciò che potevano produrre gli schermi esistenti. Sia i display che i contenuti si sono evoluti insieme e sono state definite numerose gamme di colore.

Ciò che rende una gamma di colori uno standard del settore è la presenza di una massiccia quantità di contenuti creati appositamente per quella gamma, decisione ovviamente legata a scelte produttive. I creatori di contenuti e il contenuto che vanno a realizzare definiscono ciò che poi diventa lo standard nella gamma di colori, al display il compito di mostrarli nella misura più accurata possibile.

La capacità dello schermo di riprodurre con maggiore fedeltà la gamma cromatica è legata al valore in bit dello stesso, ovvero quante sfumature colore può mostrare. Per gli schermi televisivi si parte dal valore di 8 bit, passando per il 10 bit “col trucco” (8 + FRC) e il 10 bit nativo, a oggi il massimo offerto su prodotti commerciali anche di riferimento come gli schermi OLED. Il valore 8 bit è quello base per i tv consumer, che in questo caso equivale alla capacità di mostrare 256 livelli di sfumature (ovvero 8 bit per pixel, 2 elevato alla 8) per singola componente primaria RGB, quindi 256 x 256 x 256 = 16,7 milioni di colori.

Si tratta di spazio non così ampio, con il valore più basso cioè il nero che non parte da 0 ma da 16, mentre quello più alto, il bianco, a 235. Il range di valori 16 – 235 esprime lo spazio cromatico in cui muove un pannello 8 bit. Ciò basta per coprire lo spazio colore Rec.709, benché il range cromatico sembri elevato resta il rischio di percepire l’eccessiva marcatura nella transizione tra i vari colori e la scarsità di sfumature (effetto “banding”, vedi immagine a sinistra qui sotto).

DCI-P3

Con l’arrivo dell’UHD è aumentato il volume in bit di informazioni gestibili in ingresso al televisore, che sono passate da 8 a 10 bit, di conseguenza il numero di sfumature è salito da 256 per componente cromatica a 1.024 (2 elevato alla 10) e i colori gestibili da 16 milioni a 1,07 miliardi. Il nero parte da 64 e il bianco a 940 e quindi una gestione quadrupla dello spazio colore, più elevato volume di sfumature abbassando di molto l’effetto banding rendendolo anche impercettibile.

Dalla nascita della televisione a colori fino all’arrivo dei supporti preregistrati a definizione video standard SD (NTSC/PAL) digitali come il DVD lo spazio colore di riferimento era il Rec.601. Si è iniziato a parlare di Rec.709 con l’alta definizione, standard impiegato per realizzare contenuti non solo per la televisione ma anche fotografia digitale e materiale liquido via rete. In base al relativo standard usato per la creazione del materiale sorgente, per visualizzare immagini con la massima accuratezza cromatica lo schermo deve essere capace di mostrare la medesima gamma colori. Peraltro lo spazio colore Rec.709 è del tutto simile all’sRGB (lo “standard RGB” è meno esteso dell’ Adobe RGB, che invece offre una più estesa copertura per il ciano-verde).

DCI-P3
Primari e secondari spazio colore Rec.2020

Rispetto al Rec.601 con il Rec.709 è aumentato il volume complessivo del gamut, che altri non è se non il volume effettivo di colore calcolato utilizzando le coordinate dei tre primari. Con l’UHD è divenuta importante la copertura dello spazio colore superiore al Rec.709 ovvero il DCI-P3, sopra al quale c’è il Rec.2020.

Quest’ultimo certo non copre l’intero spettro del visibile ma è quello che più gli si avvicina. DCI-P3 (Digital Cinema Initiatives – Protocol 3) è lo spazio colore definito dalle associazioni Digital Cinema Initiatives (DCI) e Society of Motion Picture and Television Engineer (SMPTE) non per standardizzare i colori in ambito commercial-televisivo, ma quelli usati nell’industria cinematografica. Da ciò consegue che il DCI-P3 non è uno standard video consumer anche se resta importante per i produttori di schermi in quanto usato come pietra di paragone, che rispetto all’sRGB guadagna ancora un 25% di volume colore.

DCI-P3
Rec.2020 con target in percentuale a seconda del colore

Le produzioni UHD si punta a masterizzarle all’interno dello spazio colore Rec.2020, che “contiene” il DCI-P3. In realtà il livello di precisione cromatica non è solo legato alla copertura massima di primari e secondari, ma anche alla capacità di gestire una percentuale degli stessi partendo dal 20% a salire 40%, 60%, 80% fino al 100% (immagine qui sopra).

Dato che il Rec.2020 al 100% non è ancora raggiungibile in ambito commerciale occorre scendere al di sotto e prendere a riferimento il DCI-P3, dove in alcuni casi si supera anche la copertura del 90%.

DCI-P3
Rilevazione DCI-P3 su uno schermo OLED, tra fedeltà e copertura cromatica

In futuro la copertura Rec.2020 sarà una realtà ma per il momento il DCI-P3 resta lo spazio colore discriminante per comprendere quanto (potenzialmente) “sincero” sia lo schermo che stiamo impiegando, possibilmente 10 bit nativi per quanto sopra esposto: più vicini alla totale copertura e più salgono le chance di visionare colori fedeli, sempre che display o videoproiettore riescano a gestirli in egual misura. Link a SMPTE.

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