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Cd e formati: uguali ma diversi

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SHM-CD giapponese

Rifiorisce uno spiccato interesse, per quanto ormai sia confinato in una nicchia d’audiofili, per i formati pregiati e hi-res del CD. SACD, su tutti, anche grazie alla buona disponibilità rintracciabile su Amazon, in particolare per jazz e classica. Buono, poi, l’interesse per gli SHM giapponesi: per alcuni ancora le edizioni meglio suonanti in assoluto quando si tratta di rock classico (chi ha detto Dire Straits?). Vi sono, poi, software come HDCD e SBM. Insomma: il mondo dei compact disc è molto meno omogeneo e standardizzato rispetto a quanto molti credano. In mezzo a questa confusione, proviamo a fare ordine chiarendo le caratteristiche di questi formati/materiali ottici. Cercando, poi, nei limiti del possibile, di consigliare il lettore rispetto alle potenzialità, o meno, di questi particolari CD.

Non esiste solo il classico formato che troviamo sui comuni dischetti Cd audio. Vi è molto di più: prima di entrare nel dettaglio, però, vediamo di chiarire la tecnica del CD, fondamentale per l’evoluzione dell’intera musica digitale.

Il CD, commercializzato una prima volta nel 1982, ha caratteristiche tecniche ben precise. Il cosiddetto Red Book, ovvero lo standard del CD, ha un suono PCM, ovvero una rappresentazione digitale di un suono analogico. Esso si costituisce su un’architettura 16bit ed è campionato a 44.1 khz.

CD e bit: la tecnica

Cosa sono i bit, ovvero la cifra della musica digitale? Il Pulse Code Modulation, o PCM, è caratterizzato da due canoni. Innanzitutto dobbiamo considerare la profondità sonora (i livelli sonici), dati dal numero di bit generati. La profondità di bit dell’audio (quindi il numero di bit) determina l’ampiezza massima, e quindi la risoluzione, di un dato suono. L’architettura a 16bit può decodificare 65.536 livelli. Più è alto questo numero, maggiore sarà la profondità del suono e la rappresentazione del suono digitale sarà più simile all’onda analogica che, in quanto un flusso continuo, è teoricamente infinita. Essa, poi, influenza l’intervallo dinamico, ovvero la differenza fra l’intensità massima e minima di un dato segnale.


Tale architettura a 16bit PCM è decodificata secondo una frequenza di campionamento a 44.1khz. Essa rappresenta il numero dei campioni (impulsi) effettuati sul sistema 16bit all’interno di un secondo. Si conti che 1hz equivale ad un impulso al secondo.

Ne consegue che la capacità di trasmissione del CD è 1411 kbps. Il calcolo è il seguente 44100 hz x 16 bit x 2, (i canali). I kbps risultanti sono, dunque, la moltiplicazione dei due canali per la profondità sonora (i bit) e i campioni al secondo (hz).

Ripassare la struttura informatica del CD è utile per conoscere i meccanismi della musica digitale: adesso vediamo i formati superiori derivati dal CD.

SBM e HDCD: software per galvanizzare le prestazioni dei CD standard

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HDCD logo

L’HDCD, o high definition CD non è un reale formato alternativo al CD, bensì un software sviluppato dalla Pacific Microsonics a cavallo fra gli anni 80 e 90, poi passato, nel 2000, a Microsoft. In sostanza, un segnale analogico viene codificato con una frequenza superiore ai 44.1 e con una risoluzione di 20bit. In seguito si procede alla masterizzazione su un classico CD: tramite questa tecnica dovrebbe configurarsi un segnale PCM più naturale e capace di più alta risoluzione.

Nel caso di utilizzo su normale lettore, la masterizzazione di un file HDCD dovrebbe, già di per sé, garantire migliori prestazioni, ma il bello arriva nel caso di utilizzo su un decoder HDCD. In questo caso il software nascosto nel dischetto attiverà l’intero formato HDCD rendendo possibile la lettura della traccia come se fosse 20bit. Diffuso nei primi anni 2000, è poi gradualmente uscito di scena negli anni 2010 a causa della compressione del mercato. Soffrì anche il SACD, rispetto al quale non era un formato propriamente superiore al CD, e ne rimaneva assai similare.

Il Super bit mapping, o SBM, è ancora molto diffuso. Molto amato dai Dire Straits, equipaggia, da molte edizioni, i loro ben suonanti CD. Per limitare l’errore di quantizzazione (differenza fra fonte analogica e trasformazione digitale), sono state progettate diverse tecnologie. La più diffusa si chiama noise shaping, che si comporta come un filtro di segnale per ridurre l’errore. Utilizzando tale principio, la Sony ha sviluppato SBM che, tramite un’accurata scelta delle frequenze, è in grado di restituire un suono in 20bit in quello da 16bit del classico CD. Si tratta, come nel precedente caso, di un inganno tecnico, ma spesso i risultati sono parsi molto soddisfacenti.

Nota: entrambi i formati sono leggibili su normale lettore CD.

SACD e DVD-A: le evoluzioni tanto attese

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Esoteric k-03: famoso lettore super audio cd/dvd-a di pregio.

Ci vollero circa 20 anni, ma alla fine due tecnologie diverse e in competizione riuscirono a portare sul mercato l’agognata evoluzione del CD. Non si tratta di aggiramenti delle capacità del CD, ma di tecnologie rivoluzionarie.

La più semplice fu la DVD-Audio. Pensata a fine anni 90 come un’applicazione audio hi-fi del supporto DVD Video, esordì nel 2000, non senza difficoltà, per via della concorrenza del SACD. Le premesse erano ottime: 4.7 giga di memoria (quella del DVD), un campionamento a 192khz (stereo) e 96khz (fino a audio 5.1) con risoluzione a 24bit.

Le prestazioni erano, certamente, molto buone: non è un caso se molti di questi files sono finiti nelle librerie online hi-res! Si trattava di un passo avanti cospicuo rispetto ai CD, soprattutto come densità sonora, ma i problemi furono diversi. Innanzitutto vi era un notevole problema di compatibilità: solo alcuni lettori DVD video potevano leggere il PCM lossless dei DVD-A, e per giunta male. Servivano lettori specifici hi-fi (il DVD-A è illeggibile nei CD player). Oggi, di norma, i lettori CD/SACD hi-end leggono anche DVD-A, ma all’epoca si determinò una guerra fra i 2 formati CD hi-end.

Per alcuni, poi, un DVD-A non possedeva grandi valori in più del CD, risultandone un’edizione gonfiata. Col tempo, fu battuto dal formato più sofisticato, capace di una tecnologia, ancora oggi, unica: il formato DSD/SACD.

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Il logo SACD

Il rivoluzionario SACD, sviluppato da Sony, esordì nel 1999 come formato musicale definitivo per l’hi-fi. Caratterizzato dalla tecnologia DSD (direct stream digital), non sfrutta gli impulsi come il PCM, ma la modulazione delta a 1bit, sviluppata per necessità militari. Essa è capace di prestazioni, ad oggi, sostanzialmente insuperate (vari DSD sono stati digitalizzati e si trovano in alcune librerie online). La frequenza è 2.822.400 hz, la velocità di trasmissione è di 5.6 mbps, 4 volte quella del CD.

I dischetti hanno, di norma 4.7 gb di memoria (o doppia se DL) e spesso sono ibridi: vi è un doppio strato, dove uno è un normale CD riproducibile su ogni lettore. È presente il multicanale 5.1. Noto, presso alcuni detrattori, come un suono gonfiato e ampolloso, oppure artificiale, è ancora la scelta di molti audiofili che cercano, in questo formato, la massima risoluzione audio possibile.

Nonostante sia stato il formato ottico hi-end di maggior diffusione, ed ancora oggi sia diffuso per alcuni generi, non è stato compreso dalla massa: costi alti, qualità osservabili sono in contesti hi-fi e superfluo per utilizzi generalisti.

Fuori dal coro: i supporti della JVC, gli SHM e XRCD

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Edizione Hi-end giapponese SHM-SACD rimasterizzata in DSD (2010) di Dire Straits.

Lanciati in Giappone nel 2006 grazie agli sforzi di JVC e Universal Japan, gli SHM (super high material) sono CD, standard nel formato, ma unici nel supporto. Per ottenere una lettura ottica più precisa, ed un audio più esatto, il materiale del dischetto è un inedito policarbonato. Diffusi in Giappone, e su Amazon (disponibili anche per SACD – SHM-SACD) si apprezzano, o meno, per un suono estremamente analitico.

Gli XRCD non sono stati realmente apprezzati per ciò che offrivano. Creati dalla JVC, si tratta di standard CD masterizzati, però, da master analogici campionati a 20/24 bit (per questo simili a HDCD e SBM) e poi razionalizzati a 16bit con la minima perdita possibile. Non si tratta, però di una semplice tecnologia quale SBM, ma un processo metodico curato da JVC stessa per la realizzazione dei dischi. Essi ne beneficiano divenendo, per alcuni, paragonabili ai formati tecnicamente superiori quali SACD e DVDA. Valevoli (più hi-end oriented di HDCD), si estinsero per le complicazioni nel possedere master analogici, quando per creare SHM (sempre JVC) bastava il master già digitalizzato.

Alla prossima…con i BD-A!

Il biglietto è caro: ma facciamo tutti una prova, avendo un buon SACD player, con un SHM o un SACD ben suonante. Ne vedrete delle belle. Un paragone con il mondo online è d’obbligo.

 

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