Qualche tempo fa abbiamo preso in esame il loro recentissimo lavoro pertinente la rivisitazione di alcuni pezzi rielaborati in chiave Big Band. Un disco molto bello ed ottimamente inciso, emblematico di come questo gruppo abbia saputo mantenere negli anni un connotato artistico notevole. Questa volta, al fine di poter fare un confronto con quella che è la produzione in quartetto, vi proponiamo un altro ottimo lavoro risalente al 1997.
YELLOW JACKETS “BLUE HATS” – IL DISCO: non tragga in inganno l’anno di produzione di questo eccellente disco, il sound è perfettamente attuale e vede questo notevole gruppo nel pieno del loro successo, un momento in cui la vena compositiva è più che mai viva.
L’ascolto non presenta quel senso di stanchezza compositiva che alcune band di quegli anni mettevano in mostra, opere per lo più definite fusion – un genere composto, appunto, da una fusione di vari generi piuttosto in voga all’epoca – il cui connotato artistico era spesso parecchio distante da quello tecnico.
Non è certo questo il caso, dove ogni traccia è una potenziale piccola gemma, un’opera lontana da monotoni e ripetitivi stilemi, un lavoro che si ascolta con vero piacere, privo di quel manierismo interpretativo – ed indubbiamente noioso alla lunga – sovente associato a certi generi.
La formula è quella classica: tema-assolo-tema-assolo-tema, il tutto espresso con invidiabili gusto e misura, mai ridondante e fine a se stesso, il discorso è piuttosto portato avanti in maniera convenientemente sapida.
Il confronto con il lavoro precedentemente recensito, evidenzia quanto sia compatto il sound di questa band, come i millimetrici incastri alla base della loro proposta siano efficaci nel disegnare una tavolozza sonora variegata e lirica.
Un lavoro davvero di classe.
YELLOW JACKETS “BLUE HATS” – QUALITÀ SONORA: la formazione dell’epoca – fatta eccezione per la presenza di Jimmy Haslip (il bassista storico del gruppo) – era per i tre quarti praticamente identica all’attuale. Ritroviamo quindi Bob Mintzer ai fiati ed all’EWI, Russel Ferrante alle varie tastiere (acustiche e non) ed il dotatissimo batterista William Kennedy il quale, in unione al citato Haslip, realizza una ritmica di impareggiabile coesione e consistenza.
Tecnica e talento, come già evidenziato, sono ampiamente condivisi in tutte le composizioni, semplicemente perfetto il virtuosismo strumentale.
Come sapete di certo, il pianoforte è una vera e propria bestia nera, perché le risonanze della tavola armonica e l’espandersi del suono nell’ambiente – aspetti che ne caratterizzano l’emissione in maniera consistente – non sono affatto semplici da captare adeguatamente. Chi conosce bene il suono di questo strumento – e l’indubbia complessità della sua meccanica – ha altrettanto ben presente come a volte la registrazione conferisca connotati eccessivamente metallici al suono della cordiera (considerando che la parte finale dei martelletti è in feltro) oppure evidenzi sonorità aspre relativamente alla cassa armonica, tanto che a volte questa sembra essere fatta di vetro piuttosto che di legno.
A seguire, il “suono” del sintetizzatore di Ferrante – assimilabile ad un vero e proprio marchio di fabbrica – appare riprodotto in modo perfetto. Entrambi gli strumenti quindi, nelle sapienti mani di ferrante assumono un lirismo quasi magico.
A tutto questo fa da contraltare una ritmica incessante e dinamica, sempre pronta a dare corpo e spessore ai vari pezzi proposti. Meravigliosa la consistenza delle corde del basso elettrico magistralmente suonato da Haslip, sia che le pizzichi o le percuota – tecnica nota come slapping – il suono mantiene corpo e spessore. Molto bello il suono della versione fretless (ovvero privo dei tasti presenti sul manico) dello strumento che utilizza in qualche circostanza.
Relativamente alla batteria, l’invito è quello di ascoltare con attenzione il rullante – croce e delizia di qualunque batterista – la percussione che all’interno del set beneficia della massima considerazione in relazione al suono: troppa cordiera conferisce un eccesso di risonanza molto spesso fastidioso, troppo poca un suono attufato e sordo e se a questo aggiungiamo la tipologia della pelle battente, sabbiata, idraulica o addirittura naturale, è possibile rendersi conto di quanta maniacale attenzione Kennedy conceda al suo set.
Permane il connotato jazzistico, usualmente presente nelle composizioni della band, ben sostenuto dalla sonorità del sassofono di Mintzer, che qui fa ampio uso del baritono, anch’esso eccellentemente riprodotto.
YELLOW JACKETS “BLUE HATS” – QUALE EDIZIONE SCEGLIERE: edito su etichetta WB, la presente opera è reperibile esclusivamente su CD.
Come al solito, buon ascolto!
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