Analog vs Digital: nel mondo dell’alta fedeltà si assiste alle più radicali considerazioni quando si tratta della qualità sonora di un disco classico prima e dopo l’avvenuta rimasterizzazione. Con questo articolo proveremo a fornire qualche dato e a fare chiarezza.
Quando, nei primi anni Ottanta comparve, per la prima volta, la tecnologia digitale applicata alla musica e disponibile a tutti, si aprì una cesura. Un profondo taglio che, a ben vedere, pare non ancora del tutto metabolizzato. Le registrazioni, prima di allora, puramente analog nella totalità della filiera (dalla produzione al supporto), videro l’immissione dell’elaborazione digitale.
In breve tempo, in generale verso la seconda metà degli anni Ottanta, tutte le grandi case discografiche si convertirono al digitale, trasformando radicalmente la maniera allora consolidata nel realizzare la musica.
Con l’arrivo della nuova tecnologia, però, si fecero sentire, in primo luogo dagli addetti ai lavori, le prime critiche. Dorman Cogburn, chitarrista americano e fondatore della band di breve vita Alias fu uno dei primi a muovere critiche verso la nuova tecnologia. Durante l’incisione dell’album Contraband nel 1979, la Mercury sfruttò uno dei primissimi dispositivi di interpolazione digitale dei master. Il risultato, però, non fu all’altezza e secondo i musicisti, compromise gravemente la purezza della registrazione.
L’epoca delle grandi remaster
Molto tempo è passato, però, da quel periodo e, già nei primi anni Novanta, si assistette ad un’importante escalation nel livello di realizzazione di dischi digitali. Vi fu, poi, molto zelo, da parte delle major, nella ripubblicazione dei dischi degli anni precedenti al digitale in nuova edizione. L’utilizzo del digitale per la ricostruzione e la ridefinizione dei master originali permise, in termini tecnici, un diffuso potenziamento della dinamica e della chiarezza complessiva, con distinti vantaggi anche nella profondità di campo.
Nonostante questo, e l’ottimo lavoro effettuato nella rimasterizzazione dei vinili originali, in diversi considerano ancora la nativa registrazione analogica come riferimento.
Per molti, infatti, la musica di epoca analogica, registrata in tal maniera, andrebbe ascoltata priva di digitalizzazioni. In altri termini, la rimasterizzazione digitale rappresenterebbe una deriva ed un’interpolazione rispetto agli originali contenuti pensati da artista e produzione. A pensarla in questi termini era, per esempio, il grande Neil Young, in passato grande endorser dell’autenticità vinilica.
Per i puristi del digitale, al contrario, questa rappresenta un’opportunità vitale per attuare una ristrutturazione dei vecchi master, così da raggiungere vette soniche inarrivabili per la tecnologia analogica.
Analog vs Digital: qualche prova
La possibilità di ascoltare alcuni dischi nell’edizioni pre e post remaster, ha permesso di proporre qualche confronto. Sia chiaro, siamo in un campo ristretto, potendo verificare la cosa in maniera parziale in virtù dei pochi dischi utilizzati, ma è comunque possibile offrire una visione della realtà.
I dischi del confronto sono stati:
Layla (Derek) in edizioni LP 1971 e CD 1990;
Legend (Lynyrd Skynyrd), LP 1987 e CD 2006;
Boston, LP 1980 e LP 2008;
Greatest Hits/Decade (Neil Young), LP 1977 e HDCD 2004;
It’ll shine when it shines (Ozark Mountain), LP 1974, CD 2018.
Se diversi album hanno dimostrato un netto passo in avanti fra l’edizione originale e quella rimasterizzata, uno ha mostrato problematiche non ravvisabili nella versione analogica.
Un ascolto accurato mostra come l’edizione moderna di Legend, su CD, goda di un palcoscenico più chiaro e dinamico, unito ad un’accuratezza non apprezzabile in origine. Allo stesso modo, la recentissima It’ll shine when it shines della BGO (casa nota per remaster di altissimo livello), mostra un’intelligibilità veramente singolare.
Più pacato l’upgrade del disco di Young, da sempre ricercatore di un suono ruvido e granoso. Per quanto concerne i Boston, il lavoro in digitale di Scholz ha portato in dote più musicalità e maggiore realismo timbrico.
La delusione di Layla 20th
Le vecchie edizioni di questo album mostrano come non rimasterizzare in digitale un analog master. Nonostante le ultime edizioni abbiano abbondantemente corretto il tiro, in questo caso ci soffermiamo sulla diffusa 20th del ’90. Certo: Layla non sarà mai inteso come disco hi-end, però l’edizione originale mostrava un’ariosità ed un senso musicale annegato nella confusione di questo CD.
È possibile che i master originali non fossero stati trattati correttamente, come che i convertitori non abbiano svolto un buon lavoro a fronte di un disco ostico, ma qui il nativo LP stravince.
Conclusioni
Ogni album è a sé. Ogni processo avvenuto nel corso della storia di una produzione artistica possiede dinamismi propri che sfuggono ad ogni interpretazione di massima.
Si potrebbe consigliare comunque di affidarsi alla tecnologia, sempre più vicina al massimo sfoggio tecnico. O si potrebbe, solamente, ascoltare quella vena musicale, la cui personale autenticità è sancita dal nostro gusto e dalle nostre orecchie introiettate dentro la musica che facciamo nostra.
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